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Album Reviews /

Terrence Dixon Badge Of Honor

  • Label / Surface
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / 01/2014
  • Style / ,
  • Rating /
    10/101
Terrence Dixon - Badge Of Honor

Parlare di Terrence Dixon significa riflettere sull’attuale significato del minimalismo in musica. In senso più stretto corrisponde pure al dover fare i conti con l’eredità e le ancora vive suggestioni detroitiane.
Il suo caso, del resto, è anomalo: per ragioni cronologico-anagrafiche non riesce a godere a pieno delle fortune opportune. Veterano ma allievo, legato ad Atkins e Hood, sebbene in tutta la sua opera si mantengano forti le prerogative techno nelle sue intuizioni più pure (e oltre) non gode mai del primissimo piano. A 20 anni esatti dal suo esordio, e qui al quarto full lenght, con Badge Of Honor, ci consegna un disco che se passerà inosservato sarà solo per la poca lungimiranza degli ascoltatori di oggi.

Fedele alla sua visione profonda della grammatica techno, dove si incastrano con coerenza perfetta il minimalismo degli elementi, la solidità del groove e l’inerzia ipnotica della ripetizione, con questa ultima uscita segna un punto ulteriore della sua personale ricerca musicale.
Il suo disco fin qui più acclamato è uscito solo un anno fa il “Far From The Future vol. 2” su Trésor che confermava una volta ancora la sua maestria compositivo sperimentale.

Con Badge Of Honor avanza ancora, andando sempre più al fondo di quel discorso. Un futurismo concettuale poco supportato da riflessioni verbali dichiarate. L’esplicitazione accade solo per il tramite della musica stessa, che in un sentiero offuscato da ombre abissali guida inesorabilmente verso una radura che è oasi e squarcio.  Prende stavolta le mosse da un concept marittimo: titolo del lavoro e relativi titoli dei brani suggeriscono richiami liquidi, oceanici e contemporaneamente navali.
Ossia anche militari, come a rammentare la potenza di una tale operazione che è insieme musicale e politica, nella migliore tradizione detroitiana. Terrence Dixon si prende un carico pesante.

In tutto si tratta di quindici brani rilasciati su due vinili. Si va da episodi al limite della synth music più acida (Light Years), all’isolazionismo ambientale della intermedia Ships In Fog alle più classiche composizioni dixoniane: Incoming, High Current e Ocean To Sea tra le più esemplificative. Loop di sintetizzatori armonicamente forzati al limite della dissonanza e dell’atonalità che si ripetono spesso senza alterazioni, in favore di una costruzione verticale di atmosfere, stratificazioni metriche e rimbalzi spaziali.
Ritmicamente sempre sobrio, poiché lo stato di grazia della ballabilità (il groove appunto) non sta tanto nello scardinamento quanto nella solidità fisiologica del movimento; ma anche perché il suono volgarizzato non sarebbe all’altezza di quell’equilibrio di forma e sostanza che è essenziale al quadro di Terrence.

Con l’iniziale Operation Acoustic rivela subito il proprio gioco: la techno come efficace spinta al superamento rivoluzionario, all’innalzamento verso il futuro. Qui ogni singolo dettaglio ha le connotazioni di ciò che non può esaurirsi, ma dura semmai da sempre. Space Probe è un saggio sul significato dell’ipnotismo in musica, nella sua staticità in teoria ai limiti dell’esasperante che è invece precisa dimensione di dinamica per qualità di arrangiamento e inventiva. Con i suoi accenti e incastrati millimetrici, lavora sulla complementarità secondo uno stile che Dixon ha contribuito a inventare e che in generazioni artisticamente più recenti troviamo in Mike Parker come in Sleeparchive.

Voler passare sopra al fatto che questo disco sia l’ennesimo attestato del ruolo di Terrence Dixon nella cultura techno contemporanea significherebbe fraintendere il corso degli eventi. In lui troviamo il perfetto connubio del passato detroitiano con la contemporaneità più ipnotica, adeguati nella sua opera a una perfetta compenetrazione. Fino alla creazione di un linguaggio unico e irripetibile.
Il tutto gestito con lo stile compositivo e sonoro di chi fa volentieri a meno di grandi proclami e scelte estetiche sensazionalistiche, perché perfettamente consapevole della noiosa ovvietà di queste stesse.

Terrence Dixon è un gigante, un maestro.
E Badge Of Honor è destinato a diventare uno dei più importanti manuali di techno degli anni a venire.

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