New York
Chicago
Detroit
Den Haag
Greatest Pills /

The Grid Electric Head

  • Label / EastWest
  • Catalog / 9031-71457-2
  • Format / Vinyl, CD
  • Released / 1990
  • Style /
  • Rating /
    10/101
The Grid

Luogo del delitto: Londra, la summer of love ibizenca come il sacro graal, le droghe, lo spettro di Genesis P Orridge, il sole, le nuvole, poi di nuovo il sole.
Uno di quegli incontri che non possono non lasciare cicatrici profonde, quello tra Richard Norris e Dave Ball, il primo un pazzo genio appassionato di musica multicolore, il secondo una divinità con alle spalle un macigno come i Soft Cell.
Il periodo è quello magico, si gioca ancora molto, per mantenere un minimo di credibilità dovrei scrivere che “si sperimenta”, ma la verità è che esperimento e gioco volavano sullo stesso aereo in quel periodo.

Una cosa è certa, c’era competenza, visione, c’erano musicisti in carne ed ossa, e c’erano soprattutto idee.
Intuizioni a volte scaturite dal genio, altre semplicemente dall’occasione o dal tipo di droga assunta, fatto stà che i progetti sbocciavano con l’immediatezza e la magnificenza di un fiore ed erano baciati da un calore che a distanza di vent’anni ci scalda ancora l’anima.

Pensarono ad un nome con il quale identificarsi, fù The Grid, pensarono poi alla musica, arrivò il paradiso.
L’alchimia era perfetta, non c’era una base stilistica ferma, il progetto doveva essere un contenitore, un raccoglitore di spunti, immagini, esperienze e sogni da tramutare poi in musica nella maniera più libera che si possa immaginare. Non ci volle poi molto, il mostro era Electric Head.

Siamo nel 1989 a Londra, la colonizzazione balearica è già avvenuta, la techno stà limando i vari componenti, l’house americana è già abbondantemente sbarcata ed ha assunto punte d’acido, le chitarre del punk suonano ancora vive quanto la voglia di evadere da tutto questo, ed un brano come This Must Be Heaven sembra proprio descrivere quest’appurata consapevolezz, con quel gonfiore post sbornia che non fa altro che arricchire ulteriormente la miscela.

Norris e Ball volano letteralmente, e quando innescano una doppietta come Driving Instructor e A Beat Called Love verrebbe da santificarli seduta stante, due brani che mirano al cuore tirando da due posizioni completamente opposte. Appostato nei sotterranei della mente il primo, in una progressione oscura che i Deep Dish stanno ancora imbambolati a cercar di capire (poi ascoltatevi il loro “Junk Science” per gridare il vostro bel “Porca Troia”).
Il secondo appostato sul tetto di un grattacielo, proprio a due passi dalla porta del Signore, che canta amore e gioia circondato da lampi in tecnicolor stelle filanti e dal suono di una tromba che sarà il più bel tramonto della vostra vita.

Poi c’è Intergalactica, uno strano fungo Beat/House con vocina vocoderizzata che pur suonando come un  barbaro, grezzo brano al limite della decenza è uno specchio così reale di quel che stà succedendo che non fa altro che rimanerti impresso, un turbine di suoni che descrivono un era, facendoci partecipi di un’iniziazione nella quale si stà ancora decidendo cosa si farà da grandi, e che per far ciò utilizza tutti gli strumenti d’indagine disponibili.

Romantici, verso il finale, vien da ridere se si pensa al percorso effettuato, eppure è così. Floatation, un certo Weatherall ai controlli tra sbilenchi ritmi post house, synth che sono angeli in amore, e chitarre che scivolano come tavole da surf su delicate onde che culleranno la vostra immaginazione nel ricordo di un estate che non avreste mai voluto conclusa.