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Cosmic Metal Mother

Cosmic Metal Mother

Incontriamo Paolo Di Nola per farci raccontare le sue esperienze musicali che hanno poi permesso la nascita di Cosmic Metal Mother, un’ entità sonora di grandissimo pregio che sta già facendosi breccia tra i cultori più accaniti di musica elettronica.
In questa bella intervista Paolo si racconta fornendoci utili spunti di riflessione.
Buona lettura.

Sei stato un frequentatore del leggendario Paradise Garage ed hai contribuito a fondare uno dei primi club culto romani, il Devotion.
Con il senno di poi cosa credi abbia rappresentato in Italia un locale simile?

Al Garage ci sono stato pochissime volte, sono capitato per caso l’estate del 1981!
Mi portarono degli amici break-dancers molesti della lower east side, altrimenti non credo sarei mai riuscito ad entrare.
Devotion nacque parecchi anni dopo in collaborazione con i miei amici Alessandro e Marco, i quali a loro volta, in seguito, ebbero l’esperienza “mistica” del Garage.
Volevamo ballare la prima house e la disco che si ascoltava a New York in quegli anni, eravamo stanchi di andare nei clubs ed ascoltare la new wave e la musica commerciale, decidemmo di creare un posto per noi ed i nostri amici, credo che abbiamo contribuito ad aprire le porte ad idee musicali nuove, con sensibilità ed atteggiamenti diversi nei confronti della vita notturna.

Cos’è stato il Paradise Garage?

E’ l’apice della “club culture” mondiale, un fenomeno musicale e sociale ineguagliabile, senza Larry Levan ed il Garage non avrebbero trovato voce intere generazioni di musicisti, DJ’s e clubbers.
Il film “Maestro” documenta perfettamente la magnanimità del posto e la storia dei protagonisti ma la vera cultura e la forza trainante della scena di quei tempi la trovi nel film “Paris is burning”.
Per me il Garage è stata scuola!

Quali erano le sostanziali differenze tra l’approccio statunitense e quello nostrano alla cultura del clubbing?

In Italia negli anni ’80, soprattutto a Roma, i locali erano posti dove si riunivano varie gangs,  dai rockabilly ai break-dancers ai gotici, mancava però una visione unitaria, si faceva riferimento a Londra, ma sempre un po’ in ritardo, quindi anche la musica era indietro, insomma non riuscivi mai a risparmiarti  un pezzo dei “Cure” o qualche hit da classifica che ti faceva cascare le palle!

Si andava nei clubs per mostrarsi ed atteggiarsi per “fare i fighetti”, a differenza dei locali Newyorkesi come Garage, Loft, Funhouse e Roxy, dove ballare era una religione e dove il sound system era sempre tecnicamente impeccabile.
In questi Clubs la musica era il fulcro ed i “kids” andavano per dimenticare la quotidianità, erano posti dove potevi essere quello che ti pareva, senza strutture sociali o paranoie, “peace, love and respect” erano le parole d’ordine, si conviveva al di là delle differenze sociali, sessuali e razziali.
Per molte persone non rappresentava solo uscire il week-end ma uno stile di vita.

Quali erano i mezzi di approvvigionamento alla musica in quegli anni?
Era possibile raggiungere un livello di completezza che potesse formare un cultore a 360°?

Roma aveva molti negozi dove poter comprare vinile ed ognuno aveva una specifica qualità, trovavi dal prog-rock al punk e dalla disco all’house con molta  facilità.
Chiaro che se eri un musicomane non potevi evitarti i vari viaggi a Londra o New York per comprare le cose più nuove, ma se tenevi le orecchie aperte ed avevi buon gusto potevi trovare davvero tante cose.
C’erano anche delle trasmissioni Radio molto sofisticate, magari dovevi aspettare dopo la mezzanotte per ascoltarle ma almeno c’era spazio nell’etere per la musica alternativa e i DJ’s più intelligenti proponevano cose nuove.

Quali sono stati i tuoi primi ascolti, e chi veramente è riuscito a cambiarti la vita? 

Il Punk, la New wave, la No-wave, Brian Eno, The Organization, Cluster, Liasons Dangereuses, Chris and Cosey, Donna Summer e Moroder, chiaramente i Kraftwerk.
Chi veramente mi ha cambiato la vita è decisamente Eno e le varie bands che ha prodotto. Ascoltando il suo lavoro ho capito l’impatto che la musica può avere a livello profondo, animico e fisico, il tempo perde valore se ti immergi in uno dei suoi pezzi.
I Kraftwerk mi hanno insegnato che non serviva una chitarra per scrivere una canzone, anche il funk e la disco più scarna, quella meno orchestrale dei gruppi Newyorchesi, è stata una costante nella mia formazione musicale.

Molti produttori storici di Detroit affermano di esser stati influenzati da ciò che accadeva musicalmente in Europa tra la fine dei ’70 e gli inizi della decade successiva, quali erano secondo te le differenze sostanziali delle due scuole di pensiero e cosa poi li ha definitivamente accomunati? 

Tutti i produttori di musica elettronica contemporanea derivano dalla generazione a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, quelli sono gli anni in cui gli strumenti elettronici hanno cominciato ad integrarsi nell’immaginario musicale collettivo.
Le differenze sostanziali sono storiche e sociali.

La Germania di quegli anni ancora reagiva ai postumi della “british invasion” ed alla musica pop tedesca del periodo, i musicisti volevano un loro linguaggio che riflettesse realisticamente quello che li circondava, ovvero le varie tensioni politiche del periodo.
La musica elettronica aprì le porte alla sperimentazione creando un alternativa al “mainstream” così nacquero le basi di questa nuova estetica.

I musicisti di Detroit sono Afro-americani, vengono da profonde radici musicali come il blues, il jazz, il soul ed il funk, le condizioni sociali chiaramente sono opposte e storicamente Detroit è un posto che l’America ha volutamente dimenticato, con un altissimo tasso di povertà, disoccupazione e criminalità.
Formarsi socialmente a Detroit è una lotta quotidiana credo quindi che darsi un’identità come Afro-americano negli anni di Regan ti obbligava a creare un universo parallelo, musica inclusa.
A differenza dei loro colleghi tedeschi i musicisti di Detroit hanno fuso la loro elettronica con la ritmica incalzante e sincopata delle loro radici musicali, rendendola accessibile al dancefloor.

A mio parere la cosa che accomuna più di tutto questi musicisti, al di là della scelta e dell’uso di alcuni strumenti è il clima.. ovvero il freddo.
Nel nord del mondo dove per la maggior parte dell’anno piove, nevica o fa freddo la musica tende ad essere più intellettuale, cervellotica e le due scuole si esprimono in maniera simile.
Quando ascolti la loro musica usi le antenne non le palle.

In questi tempi sembra di assistere ad un rovescio della medaglia ben marcato, ovvero, ora che  le fonti a cui attingere sono molteplici, il livello d’attenzione verso la musica è sensibilmente diminuito ed in generale vedo molto appiattita anche l’offerta da parte dei produttori.
Sei d’accordo con questa analisi?
Quale pensi sia la strada che un producer debba intraprendere per poter giustificare la sua esistenza in quanto tale? 

Sono d’accordo, bisogna fare molta ricerca per trovare cose interessanti ma la scarsa qualità di quello che ascoltiamo non è da attribuire solamente a Dj e producers.
L’avvento della tecnologia nel quotidiano non ha esattamente avvantaggiato la cultura musicale odierna.
C’e’ la musica pre e post computer.

Il vinile ti offre una qualità di suono viva, dinamica, è soggetto ad invecchiamento e proprio come noi ha una vita ed una storia.
E’ un oggetto chic, ti comunica all’istante tramite la copertina, averlo implica anche il fatto che devi alzare le chiappe ed andarlo a comprare ovvero uscire, socializzare, essere.

Il suono di un Mp3 ha la sensualità di una suora di castità per non parlare del fatto che il novanta per cento degli ascoltatori suonano i pezzi che scaricano su un PC, ovvero su micro-casse senza alcuna profondità o colore, questo ha fatto sì che tutto suoni come musica di sottofondo, creando apatia da parte del pubblico e sterilità da parte dei produttori che tendono a conformarsi a questa nuova estetica digitale.

Per quanto mi riguarda la musica è arte e non intrattenimento, altrimenti andrei a San Remo a fare il clown.
Credo siamo arrivati ad un momento in cui sia importante dimostrarlo e prendere le distanze da tutto quello che ha speculato sulla scena underground negli ultimi venti anni, vedi varie MTV etc.

Molti DJ e produttori vendono un prodotto, non hanno gran che da dire al livello musicale, si accontentano di comporre una base ritmica su quattro barre, completamente assente di personalità, credo che se vuoi fare dischi ora è importante fare ricerca ed esprimersi in maniera più personale possibile.

Dopo una serie di esperienze con altre label hai fondato la tua personale Panacustica, quali sono gli intenti ed in concept che hanno dato il via a questa avventura?

Nessuno ti da spazio quando hai idee nuove specialmente ora in Italia!
Non ho avuto altra chance se non quella di creare la mia etichetta e farlo da Berlino, è stato cruciale altrimenti il disco non sarebbe stato sold out in distribuzione.

Panacustica nasce come etichetta indipendente con l’intento di pubblicare musica elettronica di qualità che attinga a fonti stilisticamente differenti, pur mantenendo un comune obbiettivo.
Cercherò di incoraggiare il dialogo tra musicisti noti e quelli meno conosciuti presenti sulla scena internazionale, dando loro una piattaforma per esprimere nuove idee, incoraggiando una sorta di promiscuità sonora.

Per le tue release non è previsto il formato digitale, anzi al momento (e speriamo per il futuro) l’unico supporto disponibile è il caro vecchio vinile.
Puoi illustrarci il tuo punto di vista in merito? 

Ho già elogiato i pregi del vinile in una delle risposte precedenti, ma a prescindere dalle preferenze personali a me non interessa necessariamente competere con un mare di uscite in digitale per finire ignorato in un messaggio spedito via e-mail nella cartella dello spam.

Detto questo nel prossimo futuro sarà inevitabile pubblicare parte del catalogo in digitale.
Non necessariamente per mia scelta ma per rendere accessibile il sound ad un pubblico più vasto, anche se sul vinile cercherò sempre di stampare almeno un pezzo in esclusiva.

La tua musica al momento sembra voler descrivere uno stato di calma e consapevolezza, a cosa ti ispiri in fase di produzione, quali sono stati i riferimenti che hanno dato vita a “Cosmic Metal Mother”. 

Roma in questo momento è una città estremamente sterile a livello culturale ed estremamente noiosa, vivo in maniera abbastanza reclusa, guardo moltissimi films ed ascolto tantissima musica.
Sono tra le poche cose che mi tengono la psiche attiva.
Mi affascinano le colonne sonore, John Carpenter, Philip Glass, il pianista  jazz Bill Evans, le produzioni più oscure di Larry Levan, questi sono i riferimenti che potrai trovare anche in alcuni dei miei pezzi.

Quando lavoro nelle vesti di Comic Metal Mother cerco di attingere a fonti non usuali o se non altro non ortodosse per il dancefloor, spesso produco più di una versione dello stesso pezzo, una elettronica e l’altra organica, scrivo la stessa storia da due punti di vista opposti.
Uso quasi sempre sintetizzatori e batterie elettroniche vintage, curo molto i suoni, cerco di esprimere stati di animo tramite psicoacustica.
Non scrivo mai tanto per esercizio è sempre un processo sentito e vissuto.

In “Twice” (prima uscita della sua label ndr ) hai coinvolto due remixer che hanno fornito delle versioni molto distanti dall’originale: Mr Genius e Baby Ford.
Il primo proiettandola in una dimensione dance intrisa di riferimenti disco, il secondo immergendola in un vortice minimale ed ipnotico.
Cosa cerchi di rappresentare all’interno di un’uscita discografica? Cos’è che ti fa dire: “Ok, ci siamo”. 

Volevo fare un disco che non rientrasse nelle regole del “mercato discografico”.
Mettendo insieme questi producers ho esposto chi ascolta la disco elettronica alla minimal techno e la cosmic disco e viceversa sono sicuro di aver stimolato idee nuove.

Era importante per me anche fare un disco che non fosse una presa per il culo, ovvero non avesse quattro versioni vagamente differenti dello stesso pezzo, ma al contrario dei veri e propri remix dell’originale.
Ho scelto Professor Genius perché ha un’idea dell’italian sound e l’italodisco un po’ romantica, molto personale, il suo lavoro è iper-melodico anche se robotico ed è un trademark, si riconosce sempre.
Baby Ford è un amico di vecchia data, è stato uno dei precursori della techno minimale insieme ai geni Berlinesi di Basic Channel e Chain Reaction, il suo mix è puro concetto, sono 8 minuti e 48 secondi  di essenza, ha preso “Twice” e l’ ha decostruita fino all’osso, pure machine funk!

A cosa stai lavorando in questo momento, cosa dobbiamo aspettarci dalla Panacustica e da Cosmic Metal Mother?

Ho appena consegnato un mix completamente astratto per Nero Magazine, la rivista di arte romana.
Il lavoro trae spunto da del materiale sonoro che ho trovato su gli “Hobos”, quelli che vivono sui treni sempre in viaggio…senza dimora fissa.
Sto anche assemblando il nuovo 12 pollici di Panacustica, un nuovo pezzo di Cosmic Metal Mother, dovrebbe uscire entro maggio con un remix di Prins Thomas.

Attualmente cosa ami proporre nei tuoi set? 

Disco Newyorkese, cose poco conosciute mischiate alla prima house di Chicago.
Mi piace comunque sempre proporre cose un po’ inaspettate il vero ruolo del DJ è coinvolgerti in una storia sonora, altrimenti sei un juke-box.

Qual è il disco che hai ascoltato più volte nella tua vita? Voglio un solo nome, quello che semplicemente è finito più volte nel tuo lettore e perché. 

David Bowie “Art decade” dall’album “Low” del 1977.
E’ un pezzo strumentale di Bowie, una collaborazione con Brian Eno negli anni in cui registravano a Berlino.
A cominciare dalla copertina, una foto del profilo di Bowie, è un disco essenziale, che non ha tempo, potrebbe essere stato fatto ieri.

Il brano entra quasi in silenzio per poi prenderti e tenerti sospeso nel nulla durante l’intera durata, è vagamente malinconico ha i toni grigi tipici dell’elettronica Berlinese.
A parte l’impatto emotivo che il pezzo ha avuto su di me avendolo scoperto alla tenera età di quattordici anni, credo di aver imparato moltissimo sul come scrivere musica elettronica ascoltandolo, come usare la ripetizione in maniera organica.
E’ uno di quei dischi a cui ritorno molto frequentemente quando mi distraggo, un capolavoro.