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Terraforma 2016: il report

Terraforma 2016

“Terraforma is the theoretical process that makes life on a planet possible, beginning with the creation of an atmosphere”.

Terraforma 2016

Testo: Elisa Miglionico, Loris Ligonzo, Ivo D’Antoni
Foto: Michela Di Savino

Il concetto che risiede dietro la tre giorni di festival di musica elettronica Terraforma nel parco delle Groane di Villa Arconati a Bollate, alle porte di Milano, si percepisce già dai primi attimi della rassegna in cui la vita appare come sospesa in una dimensione ed in un’atmosfera parallele: un’ immensa entrata si presenta davanti agli occhi degli avventori e un enorme “T” sembra vigilare su coloro che arrivano e varcano il portone della residenza settecentesca.

C’è un fattore dal quale non si può prescindere se si ha voglia di assaporare tutte le sfumature, gli spazi ed i tempi che il festival è in grado di offrire, questo è il campeggio.
Campeggiare è essenziale per potersi immergere in quello che a nostro avviso può esser elaborato come un lasso di tempo nel quale dedicarsi sì alla musica, ma soprattutto ritagliarsi dei subspazi nei quali decidere quando e come goderne, senza necessariamente dover seguire, timetable alla mano, tutte le esibizioni in cartello.

Terraforma 2016 - il campeggio

Ed è proprio il campeggio il luogo che più di ogni altro ha risentito del raddoppio di affluenza che Terraforma ha registrato quest’anno (circa tremila le presenze contro le millecinquecento delle prime due edizioni), ed essendo questo il fulcro della “vita” durante la tre giorni, necessariamente ha bisogno di un upgrade che possa migliorarne l’esperienza, a partire dall’ampliamento dell’area (quest’anno le tende erano letteramente attaccate una all’altra) e possibilmente ad un suo collocamento in una zona che possa offrire ombra, all’incremento numerico di wc e docce (queste ultime magari dotate di una tenda per rendere un minimo d’intimità).

L’immensa area di Villa Arconati offre un colpo d’occhio estremamente suggestivo, diviso tra le meraviglie naturali offerte da boschi, prati e giardini, a quelle architettoniche grazie al suo complesso Barocco realizzato tra il diciassettesimo ed il diciottesimo secolo.
La cerimonia d’apertura del festival è affidata a Charlemagne Palestine, allievo di Morton Subotnick e singolare compositore, che ci accoglie seduto davanti ad un pianoforte a coda posizionato nel mezzo di un prato erbaceo, una scena davvero suggestiva, di lì a poco diventata mantra grazie alla sua esibizione che ha fuso minimalismo, ironia e progressiva ricerca di uno stato di trance.

Terraforma 2016 - Charlemagne Palestine

Lo slot successivo è dedicato alla performance del filmmaker francese Vincent Moon, accompagnato dalla sonorizzazione di Rabih Beaini, che esibendosi nel secondo stage allestito (una porzione di prato più nascosta corredata da un soundsystem home-made) hanno regalato emozioni grazie alle manipolazioni in tempo reale che Beaini realizzava sui cortometraggi di Moon, creando un sound design dai toni oscuri e cavernosi.

Purtroppo c’è pochissimo tempo per rilassarsi, di corsa verso il main stage dove l’attesissimo Biosphere aveva già iniziato il suo live set “a bordo” della struttura triangolare in legno che caratterizza il palco principale. Un’esibizione sfortunata che ha fatto emergere due tipi di problemi: il primo di carattere organizzativo (far susseguire le esibizioni senza pause “tecniche” mette in ansia gli avventori e diventa ingestibile in caso di ritardi, di fatto non si riescono ad ascoltare le esibizioni per intero), il secondo di carattere tecnico: il live di Biosphere suona basso, ai limiti dell’udibile, problema che se in un primo tempo poteva esser riconducibile ad una richiesta specifica dell’artista, più tardi si rivelerà il vero punto debole del festival: l’impianto. Un impianto (quello del main stage) non in grado di supportare suoni che necessitano un certo livello di dettaglio, con le basse frequenze sgranate e le dinamiche abbastanza piatte. Impatto ridotto durante le esibizioni diurne, vuoi per l’assenza del “muro” di pubblico davanti alle casse, vuoi per i differenti stili musicali proposti.

Molto bella e curata è l’area ristoro, dove trovano posto gli stands gastronomici – a nostro avviso andrebbe prevista una gamma più ampia di prodotti, specialmente in relazione ad una tre giorni che debba prevedere colazione, pranzo e cena), una zona con tavoli dove poter consumare i pasti ed una zona bar.

Tornando al main stage Helena Hauff inaugura le danze notturne mettendo insieme un dj set duro ed incisivo che alterna electro, acid, techno e new wave in un mix molto fluido, coadiuvato da una tecnica di missaggio pressochè perfetta (considerando anche le scelte non del tutto ortodosse).

Terraforma 2016 - Helena Hauff

Il gran finale è affidato al dj set di Donato Dozzy che sposta il baricentro su sonorità deep techno dal taglio ipnotico, che durante le tre ore di performance non disdegnano alcune puntate in territori electro ed acid. Un set che nonostante mancasse di un impianto in grado di sostenerne le dinamiche è riuscito a tener caldissima la pista fino alla chiusura.

Il sabato si inizia presto con il set d’apertura affidato alle sapienti scelte di Claudio Fabrianesi, dj romano attivo sin dai primi anni ’90 e grande collezionista musicale, che iniziando alle 10 di mattina, propone tre ore di selezione ambient in un caleidoscopio di mille colori, toccando lande psichedeliche, hip hop, acidule o più squisitamente sperimentali. Ad ogni pezzo vien voglia di sbirciare nella sua borsa dei dischi: un risveglio muscolare in piena regola.

Terraforma 2016 - Claudio Fabrianesi

Segue la performance di Francesco Cavaliere che propone due differenti atti (Gancio Cielo 1 e Gancio Cielo 2) nei quali unisce alcune strofe da lui composte ad intramezzi musicali, esibizione concettuale sicuramente apprezzabile come elemento di rottura tra esibizioni più canoniche, ma senza dubbio poco comprensibile ad un pubblico vasto.

Il pomeriggio del sabato vede i dischi di Healing Force Project ad accompagnarci per oltre ben tre ore, con un magico set che inizia dal jazz di Pharoah Sanders per culminare con l’elettronica dei Retina.it, il tutto mixato con una cura ed una tecnica a dir poco sbalorditivi.

Terraforma 2016 - Healing Force Project

Nel mezzo del pomeriggio c’è anche tempo per il talk capitanato da Damir Ivic che vede i due romani Donato Dozzy e Claudio Fabrianesi a scambiar pareri e storie intorno alla club culture. Una lecture che ha saputo offrire buoni spunti di riflessione ed aneddoti esilaranti.
A seguire, l’attesa è tutta per il dj set di Dynamo Dreesen (boss della Acido Records) ma la natura ha la meglio facendo rovesciare un furioso temporale che crea non pochi disagi sia logistici che tecnici.

Terraforma 2016 - diluvio

Perdiamo il live dei Flanger, mentre il successivo di Sensate Focus ci sembra troppo sconclusionato e poco coinvolgente.
Finalmente è giunto il momento di Lee Gamble che propone un set che divide completamente l’opinione, tanto che anche al nostro interno abbiamo pareri contrastanti in merito. L’unico fattore comune sembra risiedere nei numerosi errori di mixaggio commessi, mentre a livello musicale ci si scontra tra chi ritiene abbia proposto un set imprevedibile e molto eccentrico, e chi pensa abbia “toppato” completamente anche la sequenza messa in campo.

Il gran finale della seconda serata è invece affidato al rigore teutonico di Atom & Tobias, un live che se sulle prime ha mostrato un crescendo ben scadenzato e ricco d’atmosfera, sulla lunga ha sofferto mancanza di creatività e monotonia.

La domenica ci sveglia con il suono dub e reggae dei Tropic Disco Sound System ed a seguire della leggenda Adrian Sherwood: se il sonno in tenda non è ristoratore ci pensa la musica.

Altro slot importante quello affidato a Beatrice Dillon, la producer inglese regala un’ottima selezione musicale (eseguita interamente senza mixare i brani tra loro) che riesce comunque a coinvolgere il pubblico in un orario (quello diurno) più spensierato e meno attento alla forma, passando dal reggae al breakbeat senza disdegnare brani più lineari in chiave dub o deep house.

Terraforma 2016 - Beatrice Dillon

Arriva poi il momento di uno dei set più attesi dalla tribù di Terraforma. Lo spirito libero di Paquita Gordon sale nel main stage e costruisce una selezione che parte dalla sigla di Twin Peaks, passando per un tappeto con beat in 4/4, “Forbidden Colours” di Ryuichi Sakamoto, “Come Together” dei Beatles, arrivando al Boléro di Maurice Ravel. Il tutto proposto con molta naturalezza e creando un flusso di energia fortemente personale e un’atmosfera da ricordare complice anche l’allegria contagiosa di Paquita nel proporre musica che si riflette automaticamente nel pubblico che la ascolta. Il live del duo Primitive Art segue senza effetti speciali di alcuna sorta.
Il festival è ufficialmente finito ma è il momento di “Erratic” live di Feldermelder & Supermafia nello spazio del labirinto dove un’istallazione con colonne a LED si illuminano ed effettuano giochi di luce a ritmo di musica. Una live performance presentata da BUKA.

Dulcis in fundo, il secret after show è il regalo che gli organizzatori fanno ai campeggiatori del festival, infatti è proprio nell’oscurità dell’area campeggio, sulle sponde del lago allestito con luminarie, che prende forma il vero atto finale con Marco Shuttle a sciorinare trame dub, crescendo tribali, ritmi cosmici e cantati ipnotici.

Terraforma 2016 - Marco Shuttle

In tre anni Terraforma è riuscito ad infondere la consapevolezza di un festival ben strutturato, estremamente piacevole ed innovativo tanto tra il pubblico locale quanto tra i supporters internazionali, ponendosi come uno degli appuntamenti più importanti dell’anno in Italia per quanto concerne i festival di natura elettronica. Una crescita che mette in evidenza un bisogno di cure sempre maggiore e dei nuovi asset sui quali lavorare in vista della prossima edizione, interventi che possano supportare questa vertiginosa crescita per renderlo il posto dove dover essere negli anni a venire.

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