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Single Reviews /

Nimh This Crying Era

  • Label / (Synästhesie Schallplatten)
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / 04/2012
  • Style / ,
  • Rating /
    9/101
Nimh - This Crying Era

Roma ed i suoi angoli bui, molti più di quanti si sia disposti a credere.
Eccovi un nuovo elemento sul quale iniziare uno studio approfondito, partendo da questo commovente debutto che segna la nascita della (Synästhesie Schallplatten), nuova etichetta indipendente romana dedita al suono ambient, drone ed industrial cui fa capo Matèo Montero, dj dal gusto sopraffino e cultore di musica contemplativa.
A firmare il tutto troviamo Giuseppe Verticchio, anima eretica di un’Italia sconosciuta attraverso il suo pseudonimo Nimh.

Un musicista legato alla scena drones/industrial che nasconde proprio nel nostro paese i segreti migliori, all’attivo qualcosa come una ventina di album ed altrettante collaborazioni, scritti e visioni.
This Cryng Era, un titolo che da solo vale ogni superfluo tentativo di spiegazione e che riflette non tanto un opinabile visione della società quanto un analisi introspettiva dello stesso artista che in questi sei brani pubblicati esclusivamente su vinile mette a fuoco una serie di istantanee notturne da vivere in completo isolamento.

L’isolamento è proprio la chiave di lettura del disco, che nel centro della notte sembra liberare i profumi e le sensazioni migliori.
E’ grigio il colore dell’iniziale “This Crying Era”, un lungo movimento noise a grana sottile che sembra farci sorvolare le rovine post belliche di qualche straziato centro abitato, dove rimangono udibili solo lontani echi metallici. E’ grave anche la melodia che entra dopo il lungo meditare, il suono del piano di Philippe Blache è etereo, una candida suonata che vorrebbe portar sollievo alla cruda realtà vissuta nei primi minuti.

Il secondo brano viene a chiarire la natura dell’ambientazione, “Streets Of Teheran” è il titolo che serve a renderci tutto più chiaro, fissando un focus sulla capitale Iraniana sempre al centro dell’attenzione per le difficoltà sociali che il regime di Ahmadinejad infligge da decenni.
Il brano è di una bellezza struggente, una composizione di fields recordings tra voci, elicotteri, camion, automobili ed altri veicoli che ci trasportano proprio nella cruda realtà delle strade della capitale. Un approccio riflessivo è quantomeno necessario per entrare dentro la forza del brano, una testimonianza che in qualche modo diventa diretta e che sembra voler denunciare le difficoltà di un popolo che conosce la violenza fin troppo bene.

“The Thadandar’s Room” prosegue nel viaggio increspandosi in un suono forte e penetrante, un brano la cui potenza potrebbe togliervi la pelle, un ruggito soffocato e circoscritto in questa stanza non precisamente identificata che sembra voglia gridare ma è in qualche modo impaurita e frenata.

“Dark Earth” scivola di nascosto nel sottosuolo, una serie di note che ricreano un’ambientazione cinematica di forte intensità sempre immerse in un ribollente background sporco ed apparentemente tranquillo.

“A Liquid Nightmare” parte con una registrazione di quello che sembra un documentario medico/scientifico che sfuma pian piano in una zona oscura con le pareti di metallo.
Un flusso compatto e potente che assorbe completamente l’ascoltatore trascinandolo in un viaggio privo di melodia se non negli attimi finali.
Atmosfera che continua nei corrosivi drones della conclusiva “The Garden Of Loneliness” un lunghissimo corridoio pervaso da punte d’acido, tuoni ovattati e dalla stridula chitarra manipolata, accompagnando l’uscita di un disco che è prima di tutto uno studio interiore oltre che un alto momento musicale da vivere lontani da ogni terreno disturbo.

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