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Larry Levan

Larry Levan

Paradise GarageChe io ricordi, non c’è stato Dj che si rispetti, che durante un’intervista non abbia fatto riferimento a quello che è stato ed ha rappresentato il Paradise Garage, in particolare in riferimento alla figura del suo magnetico e magmatico protagonista: Larry Levan.
Un uomo ed un locale intorno ai quali sono sorte storie inverosimili, talmente forti da esser tramandate negli anni assumendo infine lo status di leggendarie.
Una storia a due facce, l’una complementare dell’altra. Da una parte le problematiche sociali della New York degli anni ’70, periodo nel quale gli afroamericani ed i gay hanno duramente lottato per conquistare diritti e tranquillità, dall’altra quel magnifico ariete rappresentato in tutta la sua bellezza dalla discomusic, autentica soundtrack di tutte le esistenze tormentate di quel cuore battente che la grande mela ha sempre covato in se.
Nato Lawrence Philpot il 20 luglio 1954 a Brooklyn, sarebbe poi diventato Larry Levan migliorando, diciamolo, l’esistenza di una frangia del popolo gay newyorkese e di molte generazioni di appassionati musicali a venire, fino ai nostri giorni ed in prospettiva futura. Purtroppo Larry ci lascia nel 1992 all’età di 38 anni a causa di un arresto cardiaco derivante da un’endocardite.

I suoi trascorsi dopo il 1987 lo hanno visto forse demotivato, ma più probabilmente stanco, i suoi impegni si sono così concentrati sulla produzione, e per la prima volta si è trovato di fronte ad una nuova realtà che lo vedeva esportare la sua musica, uscire dal suo club, trasportato dal peso della leggenda, ed è proprio dopo il suo ultimo tour ufficiale, a Tokio nel ‘92, che la stella di “Levan” ci lasciava definitivamente, l’8 novembre, e tutto il suo amore per la musica è rimasto vivo fino all’ultimo, come dimostra la testimonianza di un altro suo grande amico, Francois Kevorkian, ricordando l’ultima esibizione di Levan…

” Larry went into a set of Philadelphia classics which was just so poignant, so emotional because the message of all the songs said he was really hurting. We all felt it at the time, but I think he pretty much knew he was dying and all the songs he played were so deeply related to how life goes. He played Jean Carne’s ‘Time Waits For No One’ and the Trammps ‘Where Do We Go From Here,’ and I realised that this was one of the best moments of greatness that I had ever witnessed in my life. It was so obvious, so grand, such a drama to it, that you just knew.”

“Larry suonò un set di classici Philadelphia sound e fu veramente intenso, molto emozionante, il messaggio che traspariva da tutti i pezzi era quello di una persona profondamente ferita.
Tutti noi lo sentivamo in quel momento, ma credo che lui sapesse che stava morendo e tutti i pezzi che suonò erano strettamente legati al concetto dello scorrere della vita. Suonò “Time waits for no one” di Jean Carne e “Where do we go from here” dei Trammps, realizzai che questo era uno dei più alti momenti di nobiltà al quale avessi mai partecipato nella mia vita.
Era così chiaro, un momento così alto, così drammatico che semplicemente lo si capiva.”

Larry Levan & Francois kevorkian

Da dove nasce il mito? Il mito arriva da lontano, da quando, insieme al suo amico Frankie Knuckles gettarono le prime basi di quella che oggi è possibile identificare come club culture, creando di fatto un movimento nel quale identificarsi e dentro il quale trovare il proprio momento di libertà, inizialmente istruiti da un altro gigante della dance, quel Nicky Siano, che al Gallery di New York insegnava loro tutti i segreti e le tecniche di mixaggio.

Era il 1971 quando iniziò a muovere i primi passi come dj, in quel tempo erano pochissimi i dischi prodotti per poter esser ballati nei clubs, la maggiorparte della musica era finalizzata per esser trasmessa in radio o riprodotta in casa.
Nella seconda metà degli anni ’70 il modo di recepire la musica aveva bisogno di radicali cambiamenti, ed anche il modo di produrre musica era in una fase di forti mutazioni, tutto il “Funk”, il “Blues” ed il “Soul” che era stato prodotto fino a quel periodo veniva così unito ad una nuova, esilarante estetica ritmica, ed i teatri, od i classici luoghi utilizzati per le esibizioni di questi artisti venivano affiancati dai primi club, posti in cui, oltre ai musicisti tradizionali, che nel primo periodo continuavano ancora a presenziare, si trovavano altri strani individui, che proponevano musica alternando vinili miscelati con un mixer.
Quando Larry cominciò a metter dischi al Paradise Garage, nel 1977, quel che ruscì a creare ebbe dell’incredibile. La gente avrebbe fatto di tutto per poter passare una notte nel tempio, e puntualmente, cosa fino ad allora mai accaduta altrove, la domenica mattina, nel negozio di dischi di fronte al locale, c’era la fila per comperare i brani ascoltati al Garage, di cui nessuno sapeva il nome, ma che tutti avevano nel cuore.

Quel che si evince dai racconti è che il Garage fosse un unico ed irripetibile contenitore dentro il quale l’ingrediente base fu la libertà. Tutte le persone che riuscivano a varcare quella soglia potevano vivere il loro momento di libertà assoluta, Larry per primo, il motore era la musica ma quel che risulta esser il punto focale di quell’alchimia perfetta è il fatto che a volare alte erano le emozioni, la libera espressione tradotta in sfogo, in voglia di esternare tutto quanto si era costretti a tenere dentro, ed il merito più grande di Larry Levan fu quello si essersi saputo ergere a gran maestro di quell’utopica realtà. Al Garage potevi trovare chiunque, da super star come Stevie Wonder, Diana Ross, Calvin Klein o Mike Tyson fino ad operai, commessi od impiegati, ed il bello è che ognuno poteva sentirsi parte della stessa famiglia, contrariamente a quanto accadde, ad esempio allo Studio 54, dove l’apparenza era l’unica sicurezza sulla quale basarsi. Larry viveva in funzione del “suo” club, lo viveva letteralmente, fermandosi addirittura a dormire lì.

Da mezzanotte a mezzogiorno passavano tra le sue mani dischi destinati a diventare classici immortali, brani su Salsoul, West End, Prelude, Unidisc ed Atlantic per citare le più conosciute fino ad arrivare ad autentiche perle elettroniche come E2-E4 di Manuel Göttsching (brano ripreso da David DePino lo scorso anno per aprire i festeggiamenti al Larry Levan Way), e le persone rispondevano lasciandosi completamente andare alle sue scelte musicali che risentite oggi fanno sembrare tutto piatto e privo di forme.
La forma è infatti l’altra grande chiave di lettura se si vuol capire bene perchè oggi, dopo oltre trent’anni ci troviamo qui a celebrare un uomo il cui eco e le cui vibrazioni continuano ad influenzare le scelte di molti di noi. E’ forma ciò che dentro ha sostanza, altrimenti questa si affloscia su se stessa. Dentro la musica e nelle vibrazioni del Garage c’erano storie di vita, di sofferenza e di emarginazione ed i ponti che venivano costruiti erano fondati sulla/ed infondevano la speranza. Davano alle persone un valido motivo per lottare ed andare avanti oltre che un lasso temporale nel quale sentirsi oltretutto felici.

Nel 2014 a seguito di una petizione sottoscritta da migliaia di suoi fan e sugellata da un party in strada che ha contato ventimila presenze, è stato richiesto di rinominare King Street way come Larry Levan Way.

Tornando alla parte squisitamente musicale non possiamo non tener conto dell’attività di remixer dell’uomo, che, forse più per chiari fini personali che per altro, creava le sue versioni dei brani disco/funk che amava proporre, ed a venirne fuori erano dei propulsori ritmici che rendono in tutto e per tutto l’atmosfera, la tensione e la voglia di esplodere che si manisfestavano poi irruente all’interno del Garage. Per citarne alcuni, il virulento rework di Stand On The Word dei Celestial Choir o l’infuocata Give your body up to the music di Billy Nichols o ancora la profonda Double Cross delle First Choice, ma è praticamente inutile stilare delle liste personali quando l’invito migliore che possiamo farvi è quello di provare a scoprire da voi tutta la meravigliosa musica che ha animato quell’irripetibile decennio.

Il rapporto tra Larry e il Paradise Garage era di puro amore, ma come tutte le cose belle destinato a finire: il 25 settembre del 1987, infatti, il locale chiuse i battenti in un tramonto tirato forse anche troppo per le lunghe ed ormai inevitabile, una fine che ha dato inizio a quell’inevitabile quanto dovuto processo di mitizzazione intorno a Levan ed al Garage.

Conoscere questa storia e scoprirne la sua colonna sonora può aiutarvi ad avere un metro di giudizio sicuramente più completo riguardo la dance, riguardo la politica e più in generale riguardo la vita, perché è bene sapere che è esistito un momento nel quale andare a fondo era l’unico modo di vivere e socializzare, un modo distante anni luce dalla superficialità con la quale vengono cementificate la vita e la musica in questo fragile contenitore di vetro che sta inglobando i nostri giorni.

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Journey Into Paradise: The Larry Levan Story
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