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Scott Edward, uno degli ultimi segreti techno

Scott Edward

Quando ero bambino capitava spesso di trovarmi con l’orecchio appoggiato all’altoparlante del nostro televisore anziché a guardarne lo schermo, chiaramente non posso ricordarlo, ma questo è ciò che mia madre mi ha sempre raccontato.

In realtà ho cominciato a fare musica verso gli undici anni, agli inizi degli ’80, quando insieme ad un mio caro amico componevamo canzoni per prendere in giro altri ragazzi della nostra età che ci stavano antipatici. Registravamo tutto su un registratore a cassette che era posizionato vicino al pianoforte di suo padre.

Ha inizio così il racconto di Scott Edward Hodgson, schivo produttore inglese che abbiamo inseguito per anni senza mai riuscire ad intercettare, e che finalmente oggi viene a fare chiarezza sul percorso di quello che possiamo definire uno degli ultimi produttori techno inglesi ancora da scoprire.

A dire il vero avevamo introdotto il discorso diverso tempo fa con la recensione del suo album Distant Horizons per la Out Of Orbit (etichetta romana costola della ACV Records) pubblicato nel lontano 1994, ed erano state proprio le produzioni firmate con il suo nome di battesimo ad aver attratto la nostra attenzione, perché in quella musica è raccolta molta dell’essenza techno britannica di quel periodo, un suono accostabile in parte ai soliti nomi quali The Black Dog, B12, Ian O’Brien e via dicendo, ma che contiene anche elementi techno più radicali quali quelli legati a Surgeon, Regis ed a quel filone più oscuro e tagliente, per poi arrivare, come nel caso di Distant Horizons, a visioni sci-fi che si slegano completamente dall’uno e dall’altro versante facendoci assaporare un indole cinematica ricca di idee e suggestioni.

Distant Horizons

Il padre del mio amico è stato un batterista jazz durante gli anni ’60 ed aveva anche collezionato diversi organi che teneva in casa e con i quali eravamo soliti fare le nostre prove. Successivamente ha collaborato alla progettazione ed alla costruzione di un organo particolare chiamato Wersi e prodotto da un’azienda tedesca, uno strumento che sostanzialmente aveva una parte di sintesi ed una batteria programmabile; cominciammo subito a mostrare interesse verso lo strumento e suo padre fece in modo di farci avere anche altri strumenti per lavorare.
Dapprima un Fostex X-15, poi alcuni strumenti Yamaha ed infine una batteria elettronica RX-15, un sequencer QX-7 ed un paio di synth DX FM.

Ricordo perfettamente la prima volta che abbiamo inserito la batteria elettronica in un brano, potevamo controllare il ritmo in ogni punto, eravamo talmente contenti che ci sembrava di essere in paradiso!

Ai tempi ero particolarmente innamorato di The Model dei Kraftwerk che era al primo posto in classifica nel Regno Unito, avevo solo dieci anni, ma se devo ricordare un solo disco che mi abbia convinto a produrre musica, questo è The Lexicon Of Love degli ABC. Da quel momento ho iniziato a seguire tutti i musicisti che hanno lavorato a quell’album, gente come Trevor Horn, Gary Langan, Anne Dudley, J.J. Jeczalik ecc…

L’house music attraversò il Regno Unito a partire dal 1986 e mi tuffai da subito su tutta quella roba che arrivava da Chicago come Adonis e Mr. Fingers. Amavo tutti i pezzi acid house e grazie al mio background forgiato durante gli anni ’80 riuscivo a capire esattamente tutti i riferimenti che quella musica possedeva…C’erano due album che mi sconvolsero completamente: “Amnesia” di Mr. Fingers ed una compilation chiamata “Techno! The New Dance Sound Of Detroit” che conteneva roba di Juan Atkins, Derrick May, Eddie Fowlkes ed altri ancora. Le cose di Detroit hanno davvero cambiato qualcosa dentro di me, era musica più sofisticata rispetto all’house di Chicago, utilizzava strani accordi Funk ma con la libertà del jazz intriso dalla musica dei Kraftwerk.

Scott Edward

Scott Edward pubblicò per la Out Of Orbit tre Ep ed un album, tutti ormai introvabili se non a prezzi da capogiro, una serie di perle techno-ambient che raccontano una visione ben precisa dell’universo techno, una visione che fa capo ad un approccio melodico molto ben definito e ad un originale concept sonoro che aveva una precisa identità nonostante dovette confrontarsi con i vari titani del genere che pubblicavano dischi in quel periodo.
Nascosta dalla più debole spinta italiana e da un suono non facilmente collocabile, la sua musica rimase così appannaggio dei soli fortunati che riuscirono ad interpretarne il messaggio, tenendosi ben stretto un segreto arrivato intatto fino ai giorni nostri.
Diremo di più, fino a qualche anno fa i suoi dischi usati in vendita sulla piattaforma Discogs circolavano a prezzi onestissimi, poi, man mano che gli utenti hanno iniziato a prender confidenza con il sito e ad effettuare ricerche più approfondite, quelle gemme da segrete hanno cominciato a diventare ambite…ed ora rare.

Dreaming Of Delta City, Men And Machines e Stop The Idea Assassins, questi i nomi dei tre oggetti del desiderio catapultati su Roma tra il 1993 ed il 1994. Musica techno che viaggiava a stretto contatto con l’ambient in un incessante scambio tra ritmica e pathos. Muoversi viaggiando. Sembrava proprio questo il leit motiv di ogni sua release. Non era difficile in quel periodo entrare in un negozio come Re-Mix in Via del Fiume e vedersi consigliare un vinile di Scott Edward dopo aver chiesto se fosse uscito qualche disco con i “tappetoni”.

Analizzando questo suono oggi, è lampante una costruzione dei brani molto dinamica e creativa, Edward riusciva sempre a comporre ed argomentare una storia aggiungendo elementi sempre nuovi ed avvincenti nei suoi brani che oggi appaiono come patinate perle perfettamente in linea con il futuro.

Una menzione a parte merita Master Of Vortex,  altro dodici pollici pubblicato questa volta per la Hot Trax, siamo sempre a Roma, ancora una sublabel della ACV. Il disco in questione viene rilasciato sotto lo pseudonimo Razor – Heed e vede la partecipazione anche del suo amico Damion; ad uscirne fuori è un suono techno-acid violento ed oscuro, quel synth sinistro che alberga nel sottosuolo rimanda direttamente ad alcune cose di The Mover o di Lory D ed è senza ombra di dubbio il miglior disco del catalogo Hot Trax.

Il mio contatto con la ACV avvenne in un modo del tutto casuale, il mio amico Damion scoprì un album di Leo Anibaldi che ci piacque da morire, Muta, aveva tutto quello che desideravamo da un album di musica elettronica, dall’artwork alla freschezza delle idee contenute, così quando qualche tempo dopo sua madre fece un viaggio a Roma, le commissionammo l’acquisto di una serie di dischi ACV presso i loro uffici.

Sua madre era una donna incantevole e credo loro pensassero fosse la sorella di Damion, così la trattarono benissimo (penso più per impressionarla che per altro). Quando Damion gli scrisse poi per ringraziarli, gli parlò di me e della musica che stavo facendo, così loro gli chiesero dei nastri da ascoltare, glieli mandai e mi offrirono un contratto discografico. In quel momento fu una cosa fantastica, il classico sogno che si avvera.

Quando mi recai a Roma per discutere dell’accordo il mio primo contatto in ACV fu con Nero, un labrador che dormiva nella sala d’ingresso dell’ufficio, poi con Tony Verde, il proprietario dell’etichetta. Ad un certo punto, più tardi quel giorno incontrai Leo Anibaldi e Marco Micheli. La label aveva prenotato un albergo per me, e più tardi scoprii con somma sorpresa che avrei diviso la stanza proprio con Leo Anibaldi.

Da li a qualche anno l’uomo fonderà la Beau Monde Records insieme al suo fedele amico Damion Le Cappelain trovando nuove vie comunicative attraverso gli pseudonimi Uriel, Ultra Modern Art, Lexx e Majic 12, e pubblicando grandissima musica da artisti come Norken con il suo capolavoro Soul Static Bureau, o Tom Silvester, Soulpatrol ed altri ancora, ma quel che rimane incastonato nella storia è senza alcun dubbio quel visionario lavoro espresso nelle oscure release pubblicate dalla Out Of Orbit, un suono intento a raccontare delle storie, ad immedesimare l’ascoltatore in un viaggio techno fatto di mondi da esplorare creati programmando ritmi complessi, pads intensi e melodie sempre pungenti e futuristiche.

La mia visione techno deriva essenzialmente dalle prime produzioni di Detroit, da li in poi ho sempre cercato di raccontare delle storie con la mia musica, volevo fornire all’ascoltatore qualche tipo di narrativa mettendolo proprio al centro della musica stessa. Inizialmente non notai questa caratteristica nel suono che stavo producendo, credo che il primo a farmi notare questa cosa sia stato proprio Tony Verde che me lo disse in maniera abbastanza esplicita…

Distant Horizons viene proprio da quel tipo di approccio, venivo da un periodo nel quale avevo prodotto molta techno intensa e lunatica, mentre avevo voglia di provare a realizzare qualcosa che suonasse più ottimista. Noleggiai un VHS del film Tron e rimasi molto colpito dalla colonna sonora, questo mi spronò a comporre dei brani che diventarono poi l’album che conosciamo. Continuai poi su questo approccio musicale con il mio pseudonimo Ultra Modern Art e molte delle cose che produssi in quegli anni non videro mai luce, furono ascoltate soltanto da qualche amico. Questo è stato uno dei motivi che mi ha spinto a lanciare la mia nuova label, la Art-Edit, ho voglia di far ascoltare quelle composizioni alla gente…

Dopo aver completato il suo disegno ambient-techno per la Out Of Orbit Scott Edward ha continuato a sondare le sue pulsioni cinematiche sotto lo pseudonimo Ultra-Modern Art per poi immergersi nella sperimentazione jazz attraverso le composizioni sotto le sembianze di Uriel ed ancora rimanendo ancorato alle arcigne geometrie old school electro con le produzioni targate Majic-12

Purtroppo nel 2002 ho subito un furto nel mio studio e gran parte delle macchine che utilizzavo sono state rubate. Questo episodio mi ha devastato, ero veramente giù e gran parte dello spirito che riponevo nella mia attività di musicista è andato perduto insieme alle mie macchine. Accadde anche che in Beau Monde le cose cominciassero a non andare più nel verso giusto, alcune decisioni prese non mi soddisfarono completamente, un altro segnale che mi spinse a metter fine a quello che era stato uno splendido periodo.

Quasi parallelamente avevo iniziato a studiare sviluppo web e design, iniziando a progettare dei siti web basati su un software chiamato Flash, collaboravo con un’agenzia che di li a poco mi mise a capo del reparto di design. Proseguii gli studi entrando nel campo dello User Centered Design ed aggiunsi sempre più elementi a quella che è ancora oggi la mia professione, lavoro infatti come UX Designer con grande passione e soddisfazione, tuttavia, la musica rimane sempre il mio primo amore.

Scott Edward ha da poco rimasterizzato la sua produzione musicale per intero e sta iniziando a distribuirla in forma digitale attraverso la sua nuova label Art-Edit. Il consiglio spassionato è quello di entrare nel suo mondo e nella sua musica per cogliere e far vostro uno degli ultimi segreti della techno britannica.

Scott Edward