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Excursions: Tommaso Cappellato

Excursions: Tommaso Cappellato

Inauguriamo oggi questa nuova rubrica che prende il nome di Excursions, un luogo nel quale saranno gli artisti a parlare, a descriverci i loro punti di vista circa alcune tematiche musicali di approfondimento che di volta in volta presenteremo loro.
Ad inaugurare questa nostra avventura è Tommaso Cappellato, batterista jazz e compositore, un artista che ha saputo levigare un suo stile personale che in diverse occasioni ha abbracciato strutture e suoni elettronici riversati in alcune sue produzioni. Ed a Tommaso abbiamo proprio chiesto di stilare e descrivere una lista di brani che in grado di fornire alcuni spunti di riflessione partendo dal connubio, appunto, tra jazz ed elettronica. Buona lettura.

Tommaso Cappellato

Alla richiesta di Electronique di compilare una lista di brani che unissero la tradizione jazz a quella dell’elettronica mi sono trovato di fronte a una serie di questioni.
Ormai e’ prassi comune far coincidere i due territori e non e’ certo difficile per il devoto ascoltatore o il classico addetto ai lavori chiudere gli occhi e, senza pensarci mezzo secondo, citare una decina di progetti in cui questi mondi si siano uniti in maniera emblematica.

Cio’ che pero’ ha destato in me interesse, e’ stato scavare a fondo sui primissimi processi che hanno portato a questa fusione e scrutarne i sorprendenti risultati. In questa ricerca ho scoperto molte informazioni di cui non ero al corrente e altresi ho appurato quanto artisti che già conoscevo per una serie di lavori si fossero cimentati in territori a me ignoti. Noto che in queste prime opere a causa della difficoltà del processo di lavorazione e alle strumentazioni datate, i risultati sonori siano comunque molto profondi e incisivi rispetto a quelli ottenuti dall’era digitale in poi.
Si tratta di una lista più o meno cronologica di brani, dischi e artisti che copre un arco di circa 20 anni, dagli anni ’50 ai ’70. Molte delle informazioni contenute in questi paragrafi provengono da alcuni saggi pubblicati dal musicologo Thom Holmes.

Raymond Scott – “Manhattan Research Inc.” (Basta 2000)
Gia’ attivo come pianista e compositore jazz negli anni ’30 con varie formazioni a proprio nome, Scott successivamente si dedica oltre che alla performance e alla composizione di musica per spettacoli e film, anche all’invenzione di innumerevoli strumenti elettronici. E’ uno dei primissimi musicisti a sperimentare con varie tecniche di registrazione e con la manipolazione del suono. A meta’ degli anni ’40 crea il progetto Manhattan Research Inc., un laboratorio dedicato alla realizzazione di composizioni attraverso l’uso esclusivo di apparati elettronici. Il disco selezionato “Manhattan Research Inc.” e’ una raccolta di pezzi composti durante questo periodo pubblicata su vinile dall’etichetta olandese Basta.

Andrè Hodeir – Jazz Et Jazz – Fontana 1960
Nel 1960 i risultati delle sperimentazioni della musica concreta cominciano a comparire anche nel jazz. Il critico jazz francese Andre’ Hodeir compone e registra il pezzo “Jazz Et Jazz” contenuto nell’omonimo album “Jazz Et Jazz – Nouvelles Oeuvres d’André Hodeir”. Il pezzo viene realizzato in tre stadi differenti:
A) Hodeir registra separatamente una big band in classico stile Ellingtoniano che esegue specifici passaggi scritti e in un secondo momento una sezione ritmica composta da piano, contrabbasso e batteria che improvvisa sulla struttura armonica delineata dalla big band.
B) La registrazione della big band viene modificata usando le tecniche della musica concreta, quali l’alterazione della velocità del nastro, il tape-reverse, il filtering e la traspozione (ovvero il riprodurre il nastro dalla parte opposta rispetto a quella indicata).
C) Un pianista improvvisa su parti specifiche della composizione modificata per ultimare l’eclettica struttura del brano.

Terry Riley – The Gift – 1963
Nel 1963 a Parigi Terry Riley si trova a collaborare con il celebre trombettista e cantante Chet Baker per una produzione teatrale chiamata “The Gift” in cui vengono esplorate le infinite possibilita’ del “tape delay”. Del quartetto di cui Baker fa parte Riley registra sia i singoli musicisti che il quartetto nella sua interezza. Il materiale registrato viene poi usato per creare una sequenza di delay sulla quale gli stessi musicisti si trovano ad improvvisare durante la performance. Ne risulta un set di loops e sovrapposizioni sonore che vanno a creare dei pattern ritmici fino a quell’epoca ancora inesplorati.

Luciano Berio – Musique Vivante ‎– Laborintus 2 (Harmonia Mundi 1969)
Un lavoro commissionato dalla radio Francese e Italiana per commemorare il 700˚ anniversario del compleanno di Dante, Laborintus II viene montato, realizzato e registrato al Mills College in California tra il 1963 e 1965. E’ una composizione di 35 minuti suddivisa in 5 parti scritta per voce narrante, coro, orchestra, nastro e batteria jazz. Nella seconda meta’ dell’opera comincia a comparire una sequenza di suoni elettronici provenienti da nastri pre-registrati che si contrastano alle voci e alla scansione della batteria e contrabbasso jazz. Interessante le linee guida descritte dal compositore per uno dei passaggi del pezzo: “These parts are free and optional in the sense that they are to be chosen and prepared on the basis of the ability of the players and vocalist to improvise. (‘Free jazz’ style of the sixties is recommended.)”

Sun Ra – Cluster Of Galaxies – Saturn Research 1965
Sun Ra rimane di gran lunga uno dei primi sperimentatori e pionieri della musica elettronica e la cui visione ha permesso la creazione di un immaginario musicale inenarrabile. Il suo percorso con l’elettronica ha inizio già nel 1939 quando comincia a includere nelle sue performance l’uso dell’organo Electrovox.

La sua discografia dopo i primi anni ’70 e’ ampiamente pregna di elettronica e qui di seguito elencherò una breve serie di brani e dischi in cui la commistione tra il jazz futurista di Sun Ra si fonde per le prime volte con elementi di musica elettronica.

“Cluster of Galaxies” tratto dal disco “Art Forms of Dimensions Tomorrow” – e’ un esempio di una personale interpretazione di Sun Ra della “musique concrete” molto in voga in quegli anni. Piuttosto che avvalersi della riproduzione di nastri, qua abbonda l’uso di lunghi riverberi ed echi per accentuare ed enfatizzare i droni prodotti da gong e strumenti a corda.

Sun Ra – Sun Thoughts – Saturn Research 1971
Nel 1969 Sun Ra si interessa ai suoni del sintetizzatore Moog, grazie a una visita nel laboratorio di Robert Moog organizzata dal giornalista di Downbeat Magazine (nota rivista jazz americana), Tom Fiofori. Proprio durante questa visita Moog presta un prototipo del Minimoog molto prima che venisse commercializzato. Sun Ra non restitui’ mai il prototipo ma in cambio registro’ una consistente serie di dischi in cui il suono del Moog diventa caratterizzante di quell’epoca così spiccatamente creativa. L’utilizzo del Minimoog appare per la prima volta negli ultimi cinque brani del disco “My Brother The Wind II” in cui la mano di Sun Ra va a delineare le infinite possibilita’ di questo strumento ancora altamente usato ai giorni nostri.

Sun Ra – Space Probe – El Saturn Records 1974
Altra pietra miliare per quanto riguarda i primi utilizzi del Moog e’ il lato A del disco “Space Probe” probabilmente registrato già nel 1969 ma non pubblicato fino a qualche anno dopo. Qua Sun Ra si destreggia in una cosmica improvvisazione solitaria dove esplora territori sonori intergalattici fino a quel momento mai ancora proposti da nessun artista jazz. Un attento ascolto suggerirebbe che Sun Ra si fosse avvalso della tecnica dell’overdubbing per registrare un’ulteriore traccia di sintetizzatore sopra la take originale.

Rahsaan Roland Kirk – “Rip, Rig And Panic” (Limelight 1965) / “Say A Little Prayer” / “Sound???”

Geniale sassofonista afro-americano, cieco dalla nascita, era in grado di suonare tre strumenti ad ancia contemporaneamente creando armonie e ritmi impossibili. Esploratore di suoni dalle più disparate provenienze ed interessato alla tradizione della “musique concrete” e’ stato tra i primi ad includere suoni elettronici pre-registrati su nastro nei suoi dischi jazz/soul.

Come prima testimonianza ho scelto il brano “Slippery, Hippery, Flippery” tratto dal disco “Rip, Rig and Panic” (Limelight 1965). L’intro e’ costituito da un mix di suoni elettronici totalmente avveniristici e delle frasi free jazz tipiche di quell periodo in cui dilagava l’influenza coltraniana. Nelle note di copertina Kirk spiega le tecniche usate per sviluppare i primi due minuti del brano: “Some of the sounds I made with my horn. The rhythm section was playing free. Some of the tape sounds I got around the house–wind chimes, my voice amplified, the baby hollering. I slowed down some of the sounds, then played them all together. The head is written off a computer; I used the cycle of notes from a computer I once heard to make the line. The ending was done with an amplifier; I can shake it in a certain way to get those sounds.”

Un secondo esempio della visionarietà e dell’eclettismo di Roland Kirk si può evincere da un video tratto da un concerto live in uno stile più funk/soul del 1969 in cui il leader esordisce suonando uno strumento elettronico chiamato Stylophone per poi introdurre il celebre pezzo “Say A Little Prayer” con un chiaro messaggio di protesta, reazione ed espansione.

Altro lavoro interessante e’ il film “Sound???” girato da Richard Fontaine nel 1967, che coinvolge due straordinari artisti ed esponenti dell’avanguardia in due contesti diversi, Roland Kirk e John Cage. Nel filmato vengono alternate interviste e performance degli artisti incastrate in unico pezzo musicale e concettuale. A meta’ del video Kirk viene ripreso a sperimentare con la distorsione di suoni pre-registrati mentre Cage e Tudor allestiscono una performance in cui andranno ad amplificare i suoni delle biciclette. Verso la fine del film Roland Kirk viene ripreso durante una prova al celebre jazz club londinese Ronnie Scott’s in cui aziona un nastro con registrazioni distorte e contemporaneamente fa oscillare un amplificatore riverberato per intensificarne l’effetto.


A partire dal 1970, grazie alla commercializzazione di vari tipi di sintetizzatori, innumerevoli dischi di jazz vengono prodotti incorporando nuove suonorita’ elettroniche che vanno a condire la già ricca varietà espressiva di quegli anni.

Billy Cobham – Spectrum – Atlantic 1973
Per motivi affettivi cito l’album in cui per la prima volta ho ascoltato suoni elettronici inconsueti ma squisitamente inseriti in un contesto musicale affascinante soprattutto per un giovanissimo aspirante batterista come potevo essere nel 1987, alla tenera eta’ di 11 anni. Si tratta del disco “Spectrum” del batterista Billy Cobham nella cui band gravitava allora Jan Hammer, leggendario tastierista fusion e compositore Ceco, che ha fatto parte delle più celebri rock-jazz band degli anni ’70 tra cui la Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin. L’avanzatissimo uso dei synth e arpeggiatori fa da cornice, spesso come degli interludi o come intro, a dei brani jazz-funk e rock-prog come nel caso di “Stratus” e “Snoopy’s Search”.


Bruce Ditmas – L’Unità – Wizard 1977

Di mia recente scoperta un album strabiliante arriva da un altro batterista attivo nella scena jazz-rock degli anni ’70. Si tratta di Bruce Ditmas che nel 1976 registra “Yellow”, ripubblicato nel 2015 dall’etichetta Finders Keepers sotto il titolo “Yellow Dust” e contente alcuni brani differenti rispetto all’originale. La tecnica utilizzata sembra far passare il segnale acustico della batteria e percussioni attraverso dei processori e convertitori mandando in azione note singole e arpeggi di sintetizzatori tra cui l’Arp 2800 e il Mini Moog ottenendo effetti incredibilmente sorprendenti.