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Intervista con William Basinski

William Basinski

Di nuovo, nel suo atelier di pensieri, William Basinski ha tentato, nella propria scala, di portare alla luce la sua idea di perenne variabilità, che riflette la sua ormai mutevolezza artistica.
In occasione della presentazione del suo nuovo lavoro “A Shadow In Time”, abbiamo pensato di osservare più da vicino la sua nuova performance.
Il 25 febbraio all’Accademia della Belle Arti de L’Aquila, in occasione dell’Open Day è stata realizzata una performance audio-visiva, con ospite il Texano. L’iniziativa ha visto coinvolti non solo un corpo docenti impegnato in discipline artistiche, ma anche una interessante componente di collaboratori attivi nella sfera sia musicale che curatoriale dell’arte.
Di notevole rilievo per la comprensione e la trasmissione di importanti informazioni è stato infatti l’incontro con i componenti del progetto Lux, quali Rossano Polidori (TU M’), Carla Capodimonti (dancity/lux/galleria cinica) e Marco Marzuoli. Non presente per motivi di lavoro, ma influente su diversi aspetti organizzativi è stato anche Fabio Perletta (Farmacia901).

Abbiamo fatto anche qualche domanda a William, il quale ci ha ulteriormente delucidato in riferimento al suo nuovo lavoro. Prima di addentrarci nei particolari delle sue ultime vicissitudini ci è sembrato interessante ripercorrere quelli che sono stati i momenti di più rilievo nella sua carriera e nella sua estetica.

L’opera di Basinski è seguace del tempo e con esso si trasforma. La sua formazione classica, protagonista di un lungo periodo nella sua composizione è caratterizzata da influenze jazz ed è il punto di partenza per la sua comprensione. Abilmente, dopo i suoi studi alla North Texas State University Department of Music, si allontana dall’ ambiente accademico, giudicando spenti sia l’ambiente che il tipo di insegnamento e porta con sé ciò che di meglio c’è da considerare; i riferimenti. William porta con sé, infatti, nel suo percorso noti riferimenti a compositori come Terry Riley, John Cage e Brian Eno. Ponendosi sempre in una condizione di volontario isolamento, coltiva quelli che poi saranno i caratteri delle sue composizioni di musica concreta e sperimentale grazie anche alla collezione di dischi del suo compagno/ artista James Elaine, che a suo dire è stata una preziosa fonte.

C’è una sostanziale differenza tra la fase classica e quella più sperimentale dell’artista, la quale ha inizio con Shortwavemusic, pubblicato nel 1997 dalla Rastern Noton, sotto interesse ed ispirazione di Caster Nicolai e Watermusic rilasciato nel 2001 per la 2062 . In questo momento vengono tracciate le linee di base del suo profilo professionale attuale. Una forma di esilio sancito dai detentori della cultura disciplinare. L’inizio di un nuovo percorso attraverso una raccolta di tape loops con lunghezze variabili, mescolati con un’orchestra di onde corte. La memoria di ieri da abile sassofonista si affidava ad una tradizione, quella di oggi è recuperata minuziosamente nell’inconscio, attraverso fonti analogiche che si giustappongono ad un missaggio digitale. L’interesse nei processi naturali, di movimento, mutamento ed obsolescenza, allargano l’indagine di Basinski alle forme dell’arte aleatoria, audio e video. Con questa solida base teorica gode di una posizione straordinaria, considerando che le sue radici affondano in una sensibilità attenta alla tematica della memoria che lo porta a materializzare musicalmente il processo di una serie in continua maturazione di loops mentali.

The River è un lavoro prodotto nei primi anni ottanta a New York. Questo elaborato vede la collaborazione di James Elaine che si è occupato della parte video. La composizione di 90 minuti realizzata da tape loops ed onde radio riceve una buona opinione dalla critica internazionale quando è stato rilasciato nel 2002 dalla Raster Noton.

 The Disintegration Loops, una raccolta formata da 4 cd-r, pubblicata per la 2062, realizzata a cavallo del tragico evento delle torri gemelle nel 2001. Un riferimento non indirizzato ad un aspetto politico ma un racconto di quelle che sono state le sensazioni di terrore, vuoto ed in particolar modo viene posta una chiave di lettura differente su quello che per Basinski viene definito il processo di fantasia, come tramite per accedere al concetto di magia e che in questo caso, in pochi termini chiaramente è stato utilizzato da menti diaboliche. Cadute alcune certezze sull’eternità delle cose, emerge il lato più interessante che fa di questo lavoro uno dei più importanti. Il carattere dell’opera di Basinski agisce pertanto come un ponte, inserendo tematiche concettuali quali il persistere di uno spazio vuoto sottostante, l’idea di sospensione, del valico ed all’allusione di un percorso che si prepara ad andare oltre. Continuando attraverso le sue stanze ci si prospetta sempre più verso una individualistica e personale ideazione del musicista legata sempre alle contingenze del proprio tempo e contesto.

Altro momento importante dell’opera di Basinski è rintracciabile in Melancholia, originariamente pubblicato in Cd nel 2003 e poi ristampato in una edizione in vinile nel 2014 da Temporary Residence. In un arco temporale che va dagli otto ai dieci anni circa è stato sviluppato il materiale relativo a questo lavoro che evidenzia una strumentazione più tradizionale quindi note di pianoforte, sassofono, tape loops e chiaramente fonti di suono che sono state rintracciate da elementi estratti da ambienti di vita quotidiana, quali il ronzio di un frigorifero, il fischio della radio ed altre fonti di ispirazione date dalla televisione.
La copertina di questo lavoro, opera di James Elaine, artista e compagno di vita di Basinski, rappresenta il ritratto di una donna in stile classico con sovrapposto un reticolo che si dirama e che focalizza alcuni particolari, l’occhio, un fiore dell’abito appartenenti alla stessa donna.

The Gardness Of Brokness rilasciato nuovamente dalla sua etichetta 2062 nel 2005, emerge tra questi lavori più interessanti per l’abilità che ha nel portare i tratti degli strumenti, quali note di un pianoforte ed alcuni frammenti di suoni provenienti da archi ad una perfetta sintonia con i loops utilizzati, creando uno scenario ambient che trascende il particolare e tenta di aprirsi verso significati multipli, sconfinando nelle più diverse discipline. Accade nel 2015 che viene pubblicato “Cascade” rilasciato insieme a “The Deluge” per 2062. Il livello compositivo appare semplice: circa quaranta minuti di cui i primi 20 sul lato A che ospita The Deluge ed il resto sul lato B con The Deluge (Denoument) e Cascade. Il suo archivio di materiale risalente agli anni ottanta è sicuramente preso in considerazione nello sviluppo dei tape loops, memorie indelebili ancora una volta rese con estrema delicatezza compositiva. Masterizzato da Denis Blackham a Skye Mastering, sotto le direttive dell’ingegnere Preston Wendel.

A Shadow in Time nasce sulla base di personali riflessioni. In memoria di Deng Tai, amico scomparso all’età di ventiquattro anni. James Elaine sta mostrando i lavori di questo giovane a Telescope, nella sua galleria a Pechino, dove il compagno di Basinski è attivo nelle attività ludiche, senza scopo di lucro. La seconda parte è dedicata alla memoria di David Bowie, artista con la quale Basinski aveva uno stretto legame e di cui provava una grande stima.

Basinski

Inizierei con il parlare di una delle tematiche principali delle tue composizioni, ovvero il tema dell’intangibile.  L’idea di un qualcosa che non possiamo materializzare ma a cui ad un certo punto il compositore deve dar forma. Cosa accade dal concepimento di ciò all’esecuzione?

Io penso che tu stia parlando di uno dei miei principali interessi, la trascendenza. Qualcosa che ha incontrato la sua infinitezza temporale (eternità), probabilmente fuori dal tempo, che forse cambia il suo tempo, come le onde gravitazionali, questo è quello che sto cercando ed ho cercato di creare con il mio lavoro nella mia intera carriera, e quando si lavora… abbiamo problemi di tempo.

Il tuo pensiero è caratterizzato da questa continuità tra riferimenti ad una formazione classica ed una fase sperimentale. Ci piacerebbe conoscere alcuni motivi, momenti che hanno influenzato questa scelta.

Dunque, sono stato fortunato a nascere in una famiglia, in cui, i miei genitori erano molto interessati alla musica, ma loro non avevano ancora la possibilità di riprodurre musica registrata. La prima musica che ho ascoltato come ispirazione da bambino è stata nella grande cattedrale di Sacred Heart Cathedral a Huston in Texas, una cattedrale cattolica dallo stile europeo e questo per me era misterioso. Ho sentito una voce. Circa a 12/13 anni a scuola, in America, hai la possibilità di studiare musica.
Le scuole hanno degli ottimi programmi scolastici riguardo la musica, mia madre voleva orientarmi in un altro modo, ma ero già un ragazzo freak ed ‘arty’, quindi vengo portato immediatamente dal direttore, il quale mi illustra il clarinetto come strumento ed i miei campi di studio. Ero felice di praticarlo perchè mi diede dei compiti abbastanza basilari ed immediati da imparare velocemente e fui veloce. Ho amato ciò ed ho amato le responsabilità, gli appunti, l’esercizio.

Poi sono andato in Florida dove mio padre lavorava sotto contratto con la NASA, terminato il suo progetto mi trasferisco in un High School, a Dallas Texas, in una delle migliori scuole della nazione per la musica. Il direttore aveva un’associazione ed erano tutti estremamente competitivi. Com’è adesso il footbal americano. Loro avevano un grande budget ed una grande scuola con 3000 iscritti. C’era La Marching Band, aveva 300 elementi, c’erano due orchestre sinfoniche ed una band jazz. Io ero in tutte le bande. Ho iniziato a studiare musica molto complessa, romanica, spagnola. Quando il direttore d’orchestra, molto grasso, ha saputo che suonavo nel complesso jazz mi ha detto: “Tu rovinerai il tuo ambizioso lavoro”, ero molto nervoso ero lì per un’audizione. Le intenzioni del direttore erano quelle di farmi diventare il primo clarinetto dell’orchestra, ma a me non interessava, perchè la sera andavo a fare jazz e volevo essere come David Bowie. Sono passato quindi al sassofono. Da lì sono passato al blues, all’improvvisazione, mi sono sempre trovato bene nel blues perchè era malinconico come me. Il mio lavoro è davvero venuto fuori con il blues.
Ovviamente l’istruzione classica è molto d’aiuto per la forma così come la composizione. Ho avuto molto da imparare, ma anche molto da buttare via.

Nella tua vita professionale hai avuto modo fino ad ora di avere contatti con tutti quelli che sono i personaggi appartenenti al mondo delle etichette o della committenza, hai sempre mantenuto una posizione indipendente con una visione critica che molto spesso mette in crisi, attualmente qual è il tuo punto di vista a riguardo…pensi che ci si stia spostando e che le cose stiano uniformandosi?

“ I did it in my way!!!” [ Canta]. Stai scherzando, non ho avuto opportunità al mio fianco, nessuno era interessato a quello che stavo facendo, in 25 anni… un’etichetta, cose inimmaginabili. Non era come adesso, che c’è internet e ci sono moltissime etichette indipendenti, le etichette americane al tempo erano interessate alla musica pop, quelle pochissime etichette interessate a quello che stavo facendo, ambient e musica sperimentale: la label di Brian Eno, Lovely Music Ltd, non erano interessate, quindi ho dovuto solo andare avanti ed aspettare 25 anni.

“A Shadow In  Time” è il tuo ultimo lavoro, presentato in anteprima ad Union Chapel a Londra, sala concerti, centro di aggregazione e confronto ed oggi all’ Accademia delle belle arti, dove, in teoria, l’attenzione di questa iniziativa dovrebbe essere rivolta soprattutto ad una leva di giovani che si preparano ad intraprendere quello che sarà il loro percorso artistico, in uno tessuto molto complesso. Cosa consigli a queste persone?

Sperimenta, trova la tua voce, vai avanti, mettiti in studio, non saprai mai cosa potrà accadere. Come ho detto, delle volte agonizzi sul pezzo per un anno o due, e dici “oh merda”. Devi prendere esempio da William Burroughs e vedi cosa accade. Un sacco dei miei loops di piano sono composti da molti pezzi differenti della mia carriera, venuti furi da molte bruttissime composizioni con pianoforte su cui stavo lavorando quando avevo 19/20 anni, erano terribili, ma l’ho tagliati ed ho iniziato a tirar fuori delle cose fantastiche, ho iniziato ad usare i loops ed i feedback da loop ed ho imparato da altri, dai maestri Brian Eno, Robert Fripp. Quindi sperimenta, presenta il lavoro, qualche volta accade qualcosa di magico, stai con il lavoro, questo è tutto.

Potresti parlarci in particolare di A Shadow In Time, delle sue fasi di registrazione, luoghi o personaggi che sono stati influenti nella realizzazione?

Questo pezzo è venuto fuori dopo un difficile anno e mezzo in cui cercavo di tirar fuori quello che dovrebbe essere un facile tape loop, registravo Cascade e The Deluge e così fu.
Ricordo il modo in cui suonava, ma non era più lo stesso, a causa della decadenza. A tutti piace come suona adesso, ma non era così all’inizio, ci sono stati molti problemi attorno ad esso. Ho cercato di farlo tre volte, ma il mio giovane brillante assistente l’ha capito e la magia è accaduta e si è trasformato in una medusa galleggiante nell’universo.

Ho avuto un grande studio a New York, nel mio loft (ho lasciato NY 7/8 anni fa perchè è diventata troppo cara), tutti i miei sintetizzatori sono rimasti nel mio garage per 8 anni. Avevo una stanza degli ospiti a LA e gli ospiti restavano per circa 3 giorni, ho posizionato lì i miei sintetizzatori ed ho creato uno studio di sintetizzatori, ho sistemato tutto, qualcosa funzionava, qualcos’altro no… è avvenuto tutto contemporaneamente ed ho iniziato a lavorare con essi. Qualcosa di magico è accaduto, succede ogni tanto com’è successo per The Disintegration Loops, non si sa mai, ma a volte accade, devi essere lì, pronto a registrare.

Qualche tempo dopo mi guardavo attorno cercando di trovare qualcosa di fresco per un’installazione a LA e non riuscivo a trovare nulla di buono, ho cercato a fondo ed ho trovato dei nastri random, ho trovato dei bellissimi loops, i due pezzi venivan fuori assieme meravigliosamente. Il primo è una sorta di loop sinfonico per David Robert Jones ed ho detto: “Oh questo è un classico Basinski!”, poi ho tagliato l’altro nastro ed era una sporca e vecchia registrazione di sassofono e suonava molto consonante ad un b side del David Bowie di Heroes. Va bene, questo sarà il mio requiem for Bowie, il mio assistente era lì registrava e sistemava tutto in una sessione. Ho controllato come stesse uscendo A Shadow In Time perchè era forse troppo lungo, troppo dronico, le tonalità …  e l’ho diviso in due parti. Sai come va… quando accade la magia… e non accade se non ti metti a lavorare, quindi mettiti a lavorare.