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Single Reviews /

Synkro Broken Promise Ep

  • Label / Apollo
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / 04/2012
  • Style / ,
  • Rating /
    8/101
Apollo

Chi è cresciuto ascoltando musica ambient dai primi novanta in poi non può non essersi innamorato almeno una volta della Apollo, io ho avuto sbornie su sbornie. Un etichetta nata quando la R & S faceva monopolio in quella primordiale techno europea che aveva cuore e fegato, in quel suono coraggioso e sfrontato che ha fissato le basi per l’atterraggio della piattaforma decollata dalla casa madre Detroit.

Renaat Vandepapeliere e Sabine Maes accesero il fuoco, due ragazzi olandesi appassionati di techno e di altre sonorità derivative.

Per la Apollo hanno inciso tutti i grandi, nomi come Biosphere, Sun Electric, Aphex Twin, Robert Leiner, Locust, Thomas Felmann, John Beltran e tantissimi altri ancora, veri capostipiti del suono ambient di seconda generazione, di quella generazione che già apparteneva alla techno ma che si abbandonava anche a suoni più colti partendo proprio dalle melodie che quella vorace macchina ritmica metteva in piedi.

Poi ci sono stati dei piccoli outsider come ad esempio Billie Ray Martin, che per chi scrive ha realizzato uno dei dischi più belli della discografia Apollo, quel “4 Ambient Tales” che rappresenta un monumento inarrivabile al genere, oltre che un intenso viaggio nella coltre vocale della poliedrica artista inglese. O ancora uno strano, bellissimo disco dei norvegesi Aedena Cycle, un dodici di debutto che tengo ancora oggi come uno dei miei ascolti preferiti.

Circa un decennio di serrata attività, decine di dischi che hanno segnato la storia, poi la scelta di uscire di scena, come dargli torto, d’altronde i primi anni del duemila sono stati un crocevia di generi ripescati per salvare l’insalvabile, oltre che l’esplosione di quella corrente minimal che se in alcuni isolati casi ha regalato qualcosa di buono, per il resto ha generato una discarica che non riusciamo più a smaltire, talmente è piena.

Quando agli inizi di questo 2012 è cominciata a girare la notizia di un ritorno della Apollo credo in molti abbiano alzato gli occhi al cielo per ringraziare il Signore, da lì è iniziata una ricerca per verificare la fondatezza della news e tra le varie conferme è stata una bellissima sorpresa imbattermi proprio in Renaat attivissimo sul suo profilo Facebook e pronto ad affrontare di nuovo il mondo, forte degli anni che lasciano traspirare tutta la sua esperienza e di quella che agli occhi distanti appare una serenità propria della musica che ha sempre rappresentato.

Sono molte le cose a bollire in pentola, un nuovo Locust, forse un Beltran, un remix per i Model 500, Colonel Red, Jack Dixon, Submerse e lasciamo per ultimo il disco della rinascita, quello di  Synkro.

Ed è proprio il producer di Manchester a prendere a battesimo il ritorno del secolo con un Ep  intitolato Broken Promise.
L’uomo, proveniente dagli antri cattivi della dubstep, si vede affidato un compito delicatissimo che svolge, vi anticipo, con superba destrezza, realizzando un disco che è un moderno biglietto da visita oltre che una dichiarazione d’intenti che lascia intravedere una rinnovata forma di espressione, facendo in parte cadere le speranze di chi si aspettava un classico.

Già dal primo brano, che è quello che da poi il titolo al lavoro è avvertibile quest’iniezione di estetica nuova. Synkro parte proprio dalle sue radici dubstep allentando la morsa ritmica a favore di un output d’atmosfera che sfrutta il suono del pianoforte con classe assoluta, accennando anche a dei vocal in pieno “dubstepburialismo”, in grazia di Dio per nulla pesante come ci si potrebbe immaginare.

Nel secondo brano, “Why Don’t you” la formula è sostanzialmente replicata, questa volta però ci troviamo di fronte qualche accostamento di troppo.

Il lato B è decisamente migliore, si inizia con “Memories of love”, una romantica stesura in bilico tra ambient e garage con le voci che evitano quel trattamento troppo inflazionato per evocare lirismi più avvolgenti e calorosi, il ritmo sottile con dei rintocchi metallici in eco ed una tastiera che manda un loop sintetico per tutta la durata. Gran brano.

Sul finale il colpo che forse tutti aspettavamo, sette minuti di grande viaggio mentale per un brano solido, classico ed assolutamente ben scritto come “Knowledge”.

Il suono si fa spazio tra iniziali campionamenti e rumoristica da centro città per poi venir sovrastato da una percussione tribale che annienta il resto facendo suo quel lasso di tempo. Di nuovo una sospensione e poi una ripartenza, sempre percussioni, ma dal profondo sale un grido di basso soffocato ed un tappeto che lascia una scia dorata dietro di se.

Sorridete dunque, la Apollo è tornata ed è viva.

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