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Album Reviews /

Bvdub & Loscil Erebus

  • Label / Glacial Movements Records
  • Catalog / GM020
  • Format / CD
  • Released / 10/2013
  • Style / , ,
  • Rating /
    9/101
Bvdub & Loscil - Erebus 300x300

L’Oscurità e la sua progenie. Lo sfondo della mitologia greca e, forse, un’altra via per raggiungere l’inferno, cioè l’omonimo vulcano situato in Antartide, sull’isola di Ross, al cui interno si trova una dei pochi laghi di lava al mondo. “Erebus” (2013) è un album fondato su riferimenti precisi e, soprattutto, colmo di visioni da ghiacci bollenti. Gli autori sono Bvdub e Loscil, imbeccati da un’idea di Alessandro Tedeschi, il fondatore dell’etichetta Glacial Movements. Senza di lui, questo ennesimo gelido viaggio ancestrale non avrebbe avuto modo di concretizzarsi in note.

Il nome “Erebus” rimanda alla divinità ancestrale Erebo, figlio di Caos e fratello della Notte, personificazione dell’Oscurità. Il termine Erebo indica parimenti gli Inferi. Secondo gli antichi filosofi, il suo mito coincide, inoltre, con la piena manifestazione del cosmo a partire dal caos o l’essenza immanifesta. Con la sorella Notte generò una lunga discendenza, spesso non divinità vere e proprie, ma personificazioni di astrazioni, tra cui Etere, le Esperidi, i gemelli Hypnos e Thanatos e le Moire. Personaggi a cui si sono ispirati i due artisti per il loro primo lavoro di coppia.

Entrambi condividono trascorsi con la label romana. Due i lavori di alta qualità. Da una parte, “I Remember (Translations Of Mørketid)” (2013) di Bvdub. Dall’altra, “Coast/Range/Arc” (2011) di Loscil. Con “Erebus” il duo si cimenta in una collaborazione cerebrale, dai toni diafani e dall’afflato sublime. La componente isolazionista propria del concept alla base della Glacial Movements può essere tradotta in numerosi modi, anche con voci campionate o effettate, per acuire le distanze tra terre emerse e non. Un elemento sonoro che costituisce un’autentica novità del suo catalogo.

Il disgelo ha inizio. Le tradizionali esplorazioni a carattere naturalistico lasciano spazio a cinque composizioni dal lunghissimo minutaggio e dal flusso magmatico, portatrici di indecifrabili messaggi ancestrali, persi nel vento, tra le note di pianoforte e altri minimalismi. Da escludere in partenza la sommatoria di stili. Lo statunitense e il canadese si prodigano, infatti, in un qualcosa di epico, di cui sublimazioni ambientali, saturazioni profonde e modulazioni di densità costituiscono sono i costanti punti di partenza per costruire o meno incandescenti architetture sonore.

Le espressioni soliste di Brock Van Wey e Scott Morgan appaiono blandi ricordi. Non ci sono battiti dub, né derive techno. La totale coesione tra i due conferisce un ulteriore slancio evocativo, ideale per sospingere l’ascoltatore verso un mondo sotterraneo popolato da esistenze quasi spettrali. La progressiva dilatazione del suono stimola brividi. Di pari passo, la sua rarefazione è, a volte, improvvisa, ma evocativa al massimo. L’apertura è delle migliori. La maestosa Aether è dedicata alla dea Etere, potenza divina del cielo superiore e più puro, della luminosità del giorno.

L’atmosfera tenue è squarciata da voci spettrali. Un crescendo destinato a ripetersi a intervalli irregolari. Nel frattempo, subentra la tempesta perfetta: Hesperides. La leggenda narra che le Esperidi custodivano il giardino dei pomi d’oro di Era. Bvdub e Loscil le trasformano in messaggere di una deriva rumorista. L’ultima luce del tramonto prima di una monumentale divagazione nel buio. Hypnos è una traccia dagli echi abissali o, semplicemente, ridondante nel suo incedere. Il dio del Sonno si manifesta in tutta la sua forza ipnotica. È il centro gravitazionale dell’intera opera.

Moirai rappresenta, invece, l’anticamera a una conclusione dalle sfumature malinconiche. Il vaporoso brano è direttamente connesso alle tre personificazioni del Destino, o Moire. Il loro compito era tessere il filo del fato proprio di ogni uomo, svolgerlo e, infine, reciderlo segnandone la sua dipartita terrena. A Thanatos, già nome del dio della Morte, il compito di far calare il sipario su “Erebus”. Una conclusione vorticosa per un saggio musicale unico nel suo genere ibrido, valido custode di un romanticismo elettronico inedito se rapportato agli artefatti tempi moderni.