New York
Chicago
Detroit
Den Haag
Single Reviews /

Kuedo Severant

  • Label / Planet Mu
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / Novembre 2011
  • Style / ,
  • Rating /
    8/101
Kuedo - Severant

Non molti conoscono (ancora) Kuedo. I più stretti seguaci dell’avanguardia elettronica, tuttavia, sanno che dietro a questo pseudonimo in pieno sviluppo si cela un artista che ha già segnato sotto la storica etichetta di Mike Paradinas una serie di singoli di impatto notevole.
Sarà forse capitato anche a chi è meno “del mestiere”, però, di imbattersi nell’ottimo e fortunatissimo album “Degenerate” ed in “Cloud Seed” dei Vex’d, usciti sempre per la Planet Mu rispettivamente nel 2005 e nel 2010.
Dietro quel progetto, che aiutò a definire meglio i canoni di un suono in divenire come era quello Dubstep si celavano Roly Porter (il quale, recentemente, ha prodotto il cupo e maestoso “Aftertime” per la Subtext) e Jamie Teasdale, quest’ultimo è la mente dietro al nome di Kuedo.

Questo musicista proviene dunque da una generazione giovanissima che ha velocemente preso possesso dell’eredità del suono Hip Hop e Drum ‘n’ Bass e l’ha saputo trasfigurare in una nuova forma espressiva, la Dubstep più astratta.
“Severant” è il primo disco di Kuedo a uscire dal mare magnum di questa realtà che, fino a poco tempo fa, era decisamente underground. E lo fa con grande abilità.
La forma è decisamente semplice: vi troviamo 15 tracce, brevi e concise, della durata raramente superiore ai 4 minuti. Tuttavia, il suono, l’intento compositivo, le sensazioni descritte, proiettano l’ascoltatore in una dimensione totalmente inaspettata e nuova. Pur attingendo al patrimonio lasciato da grandi protagonisti della musica elettronica , nessun brano in questo disco assomiglia a qualcosa che sia già stato fatto.
Kuedo reinventa tutto ciò che usa per comporre: i suoni, innanzitutto, che sono per la maggior parte ispirati agli inconfondibili pads e leads di Vangelis, limpidi e cristallini, (quelli di “Albedo 0.39”, per intenderci), e che richiamano più lontanamente le atmosfere dei Tangerine Dream. C’è anche un certo gusto che porta il nostro musicista ad usare suoni spesso orientati verso l’8 bit, o comunque verso una semplificazione che però, invece di rendere tutto freddo e distaccato, sono gestiti con maestria ed assumono un corpo ricco di sfumature e di significato.

Ritrova, e reinventa, l’arpeggiatore. Potremmo anzi pensare che questo disco sia un grande divertissement imperniato sull’uso sapiente dell’arpeggiatore, come per sondarne le possibilità di nuovo, alla luce del 2011: se pensavate che gli anni ’80 avessero prosciugato le potenzialità espressive di questo strumento, Kuedo è qui per smentirvi.
A volte, poi, l’uso di questo espediente rasenta lo stato dell’arte: si ascolti in proposito “Scissors”, una spiazzante evoluzione sonora dove il vero protagonista è proprio l’arpeggiatore; che dal sottofondo emerge ed evolve, prendendo corpo e carattere. Questa traccia è anche un doppio tributo: innanzitutto al fortunato mix di “Why” di Carly Simon che Larry Levan proponeva nell’ormai lontano 1982 al Paradise Garage; e naturalmente, per trasporto, è un tributo alla House più influente del panorama newyorkese.
C’è poi l’uso del basso, anch’esso reinventato, dato che pur essendo direttamente mutuato dall’esperienza Dubstep è comunque manipolato per renderlo più malleabile; s’insinua lentamente, con precisione matematica, nella successione dei pattern che costituiscono i brani.
Accanto a queste trovate geniali, Kuedo dimostra di essere un attento osservatore della realtà musicale contemporanea: il beat è subito riconoscibile – il mitico TR808 – ma lo stile arriva direttamente dalle Footwork battles di Chicago.

In ultimo, bisogna osservare un importante dettaglio, che riguarda il senso generale che traspare dal disco. Si tratta di un lavoro seriale, modulare e apparentemente semplice, dove la mano dell’uomo sembra lasciare il campo a quella del sequencer. C’è un’idea di modernismo e, oserei dire, anche di costruttivismo, in queste composizioni: se si dovesse associare al suono delle immagini, probabilmente comparirebbero delle opere di Tatlin, Leger, Mondrian. Di conseguenza, questo senso generale è il senso del retrò, del moderno visto da una prospettiva passata, come poteva essere quella del futurismo. Luigi Russolo avrebbe apprezzato questo lavoro?
Planet Mu mette a segno un colpo ben assestato, ma soprattutto lo fa Kuedo, che sfrutta al meglio l’occasione di questo debutto per far ben capire quale sia la sua posizione in merito alla questione di cosa significhi oggi fare ricerca in ambito elettronico.

Non ci sono solo luci, naturalmente: è pur sempre vero che ci vuole un po’ di pazienza per capire e apprezzare la struttura di questo lavoro, e forse ad alcuni risulterà un po’ stucchevole la forte coerenza che i brani mostrano l’uno con l’altro; ma bisogna comunque ammettere che lo sforzo di Kuedo è notevole, proficuo e probabilmente destinato a diventare un apripista verso nuovi orizzonti sonori.
La prima mossa qualcuno doveva pur farla, restiamo a vedere chi seguirà la pista aperta.

Redazione Written by: Pubblished: