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Plug Drum ‘n’ Bass For Papa

Drum 'n' Bass For Papa
Non è semplice presentare sinteticamente un disco come questo. Il motivo è presto detto: senza mezzi termini, si tratta di uno spartiacque fondamentale nella storia della Jungle e della Drum ‘n’ bass; un lavoro destinato a segnare, a rimodellare in profondità il sound e gli sviluppi di questo genere nel panorama generale della musica elettronica. Eppure, paradossalmente, è difficile sentir citare questo disco fra le “pietre miliari” del caso. Ma andiamo per ordine.

Dietro lo pseudonimo di Plug si cela il ben più conosciuto nome di Luke Vibert, deus ex-machina di altri progetti decisamente meritevoli, fra cui il principale Wagon Christ.
Nell’ormai lontano 1996 il nostro mette in piedi il materiale per un vinile appunto sotto il nome di Plug, che viene dato alle stampe dalla Blue Planet; nel 1997 seguirà la versione su CD pubblicata invece dalla Nothing. E’ evidente che i produttori, in particolare Trent Reznor, annusarono velocemente il potenziale di questo lavoro: ne seguirà infatti un set di cd che raccoglie anche un EP con altro materiale prezioso per capire la portata creativa di Luke Vibert nell’ambito jungle. E’ interessante il fatto che, dopo questo titolo, il nostro non abbia più utilizzato lo pseudonimo Plug per dare alla luce altri lavori: quasi una dichiarazione di intenti.
E non a torto. In effetti, se ad oggi i primi lavori Jungle suonano in qualche modo un po’ rigidi e datati (pensiamo ad esempio al pur valido “Parallel Universe” dei 4hero), almeno per quanto riguarda la struttura dei brani, “Drum ‘n’ bass for papa” sembra non risentire particolarmente del passare del tempo.

Innanzitutto, dal punto di vista compositivo, Plug mette in gioco delle costruzioni ritmiche assolutamente innovative, ricchissime. In un periodo in cui programmi come Ableton Live ancora non esistevano, i pattern di questo disco si mostrano decisamente più all’avanguardia di molti altri artisti degli stessi anni. Non dimentichiamo poi che il mainstream della musica elettronica, in quegli anni, era dominato da artisti orientati su sonorità molto diverse (il CD esce nello stesso anno di “Fat of the land” dei Prodigy o di “Dig your own hole” dei Chemical Brothers).
Quello che stupisce del disco, al primo ascolto, è l’incredibile fluidità di ogni brano: tutto sembra avere un posto ben determinato, un ruolo. Niente è di troppo. Ciononostante, il linguaggio utilizzato non lascia affatto la sensazione che i brani siano creati in modo freddo e matematico, così il lavoro complessivo ne guadagna in godibilità. Si tratta di composizioni anche lunghe che presentano un’evoluzione complessa delle proprie strutture: si ascolti ad esempio il bellissimo remix di “Cut”, un brano decisamente border-line fra i canoni tipici dei ritmi jungle ed una libertà creativa molto più sperimentale. Qui il ritmo prende una direzione ben determinata e solida solo dopo 6 degli 8 minuti che compongono il brano. Eppure, tutto suono estremamente coerente e convincente.

E’ difficile dire quale parte sia migliore di un’altra: certamente ci sono delle perle immancabili che danno al disco un’aura di perfezione. E’ il caso della traccia omonima “Drum ‘n’ bass for papa” o della potentissima “Feelings”, un brano a cui musicisti come Photek debbono molto riconoscimento. Quest’ultima è una continua, lenta ed essenziale progressione ritmica: melodie ed accompagnamenti sono ridotti all’osso e creano un contorno ai campioni di percussioni, fino all’ingresso geniale del campione dell’Amen Break verso la metà del brano.
Sulla stessa linea si trova il magnifico “A subtle Blend”, dove il cavallo di battaglia è una semplice melodia di basso che si ripete ipnoticamente, rafforzata da un sapiente quanto delicato uso di delay e di filtri. A proposito si veda ancora l’uso dell’Amen Break filtrato all’ingresso dell’ultima parte di questo brano. Si tratta di piccoli accorgimenti che, in fondo, hanno fatto scuola.
“Maker of all” gioca tutto attorno ad una melodia orientaleggiante che lascia una sensazione eterea e sfuggente all’ascoltatore, mentre in sfondo si susseguono accordi di pads che lasciano spazio di volta in volta a campioni funk-jazz. “Delicious”, invece è forse il brano ritmicamente più potente e trainante di tutto il disco, costruito su un ritmo semplice ma di grande effetto.

Plug fa ampio uso del linguaggio musicale jazz e attinge con evidenza dal patrimonio funk – soul degli anni ’80, che è la vera e propria matrice sonora generale che traspare attraverso tutti i suoi brani.
Globalmente, “Drum ‘n’ bass for Papa” è un must per chiunque abbia anche la minima voglia di comprendere fino a dove può spingersi la ricerca elettronica in musica, senza per questo venire meno alla godibilità immediata dei brani. Per gli appassionati, è immancabile.
A mio parere, si tratta di un lavoro eccelso che può anche essere utilizzato oggi per testare la fedeltà di un impianto ad alta definizione: si resterà stupiti dalla chiarezza del suono e dall’abilità del nostro musicista di equilibrare i suoni con dei giochi a rincorrersi di filtri sapientemente gestiti, così che il sound non risulti mai povero, anche di fronte a passaggi particolarmente essenziali. In effetti, Plug usa i filtri così come in altri generi musicali si usano i cambiamenti di dinamica, ed il risultato è sorprendente. Caldamente consigliato.

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