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Album Reviews /

Padded Cell Night Must Fall

  • Label / D.C. Recordings
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / may 2008
  • Style / , ,
  • Rating /
    8/101
Padded Cell

Padded Cell sulla lunga distanza! Il duo londinese formato da Richard Sen e Neil Beatnik sembra godere di un’inesauribile vena creativa che li ha spinti, in questo primo album in studio, a sondare ad ampio spettro le soluzioni compositive legate a quelli che sono i loro interessi, ovvero una sorta di electro esoterica legata indissolubilmente alla disco.

Album complesso e ricco per il quale è stato necessario il supporto di numerosi musicisti tra i quali ricordiamo gli italianissimi The Diaphanoids (già segnalati dal nostro LaCosta per la rubrica vinil touch).

Disco complesso perché vario nello stile, basti pensare che dopo l’inebriante e suggestiva apertura di “Moon Menace Part II” (forti riferimenti ai Goblin), con una fantastica melodia in gioco a due tra synth e chitarra, esplode l’electro gommosa ed instabile di “Savage Skull”, per poi cambiare di nuovo rotta con “Faces Of The Forest” (traccia in pieno DFA style).

“Word Of Mouth” è un vocal tutto graffi, basso e chitarra, la voce di Chloé Battant tetra e molto convincente, forse l’unica cosa a soffrire è la parte ritmica, ma la percezione è che sia stata volutamente lasciata nascosta per far da preambolo alle successive tre tracce maggiormente legate al concetto di soundtrack.

Si torna a ballare nella bellissima “Triple X Sindrome”, un brano electro ricco di atmosfera e velati richiami disco.
Stesso trattamento, anche se qui navighiamo in lidi ben diversi spetta a “Konkorde Lafayette”, brano che riporta alla mente i lavori di Lindstrom. Qui l’equilibrio degli elementi è pressoché perfetto, chitarra, synth, batteria, tromba e basso a creare la migliore melodia del disco.

“Far Beneath London” viaggia quasi al pari della precedente, coniugando la parte ritmica fatta di congas, piattini, bonghi e grancassa con i veloci giri di chitarra e la voce robotizzata dei Diaphanoids.

Chiude il lavoro “Are You Anywhere?”: batteria in sospensione, accordi jazz, accenni vocali sospiranti e synth in rientro dall’orbita.

Quando la sostanza abbonda a dismisura risulta quasi inopportuno badare ai difetti.

Gran disco.

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