La International Feel è senza ombra di dubbio una delle label più importanti degli ultimi anni, un’etichetta che ha regalato a tutti gli amanti del vinile un suono tra i più liberi ed incontrastati uditi di recente, autorizzando di fatto sogni psichedelici, informali, sperimentali, lanciando nomi importanti come Gatto Fritto, Hungry Gost, Maxxi & Zeus, The Bubble Club, autori di altrettanti capolavori di sperimentazione disco notturna, licantropica, oltraggiosa.
Dj Harvey è la leggenda vivente, un Dj che ha avuto la capacità di creare un alone mistico intorno a sé pari soltanto alla fama di vecchi grandi indimenticati, un artista che forse, prima della musica ha fatto sempre arrivare una filosofia di vita volta al fare incondizionato, alla selezione degli aspetti spesso dimenticati della vita, quelli legati al divertimento e più visceralmente all’amore per la musica senza barriera alcuna.
L’attività produttiva dell’uomo è poi stata segnata da remix e progetti sempre lanciati in sordina, a volte magnificenti come nel caso di Maps Of Africa, altri forse meno ma sempre carichi di un appeal che tendeva un filo conduttore tra la sua attività djistica e produttiva.
Parto subito da quel che a mio avviso non và in quest’album di debutto sotto lo pseudonimo Locussolus che sta nei fatti in una rappresentazione troppo ostentata delle troppe influenze musicali che l’uomo ha voluto inserire nel disco, facendogli perdere quello che poteva/doveva essere un leit motiv trainante di un disco atteso come questo. In troppe occasioni infatti sentiamo scivolare il suo suono in territori distanti dalle coordinate mistiche attese con tale ansia, presentandoci al dunque dei particolari goffi e forse troppo “broken” per farci rimanere incollati nel viaggio che avremmo voluto realizzare. Posso citare come esempio proprio il brano d’apertura “Gunship” che rompe tutte le aspettative con un suono grasso che in oltre 7 minuti non riesce ad arrivare a nulla che sia accattivante, riuscendo per giunta a suonare troppo standardizzato.
O ancora “I want it” che sì evidenzia una sapienza produttiva ben oliata ma tra vocals giovanilistici e basi electro/disco troppo allegre lascia cadere ogni riferimento a quella che è l’importanza su questo mondo di Harvey.
A conti fatti, risulteranno proprio i brani più votati al dancefloor ad essere i meno riusciti dell’intero album e Dio solo sa il motivo di questo calo di tensione proprio nel momento della verità.
Torna il bell’Harvey di sempre quando infila melodia, ritmo e mood in un brano come “Next to you” che sfoggia tutto quell’armamentario fatto di bagliori e luci soffuse che tanto ci sta facendo amare la International Feel, ed ancora in “Throwdown”, brano cantato sorretto di nuovo da quell’atmosfera post/club dove le chitarre in distorsione sono capaci di trascinarci nei lidi più arditi. Verso la fine dell’album c’è anche una dub version del brano fatta dallo stesso Harvey che rende definitivamente materia liquida le parti strumentali.
“Little Boots” rifancendosi proprio ai Maps Of Africa ci regala alcuni soli di chitarra fantasmagorici cavalcati da ritmo e voce in chiave dub/reggae, il brano viene poi stravolto dagli Emperor Machine che ne realizzano una versione Italo/Horror che in fin dei conti ha il suo perché!
Lindstrom & Prins Thomas riescono a rendere meno peggio “I want it” regalandoci un piano d’antologia ma rimanendo purtroppo ancorati ad una forma “canzonetta” che poco ci regala.
Andrew Weatherall prende in consegna invece “Gunship” e con greenvelvettiana foga inserisce un vocal malefico ed una cassa assassina che ci consegna la versione “benvenuti all’inferno” del brano, sicuramente il miglior remix presente nell’album.
Fate i vostri conti senza aspettarvi quel miracolo che tanto abbiamo pregato.