Nel 1994 Sir Alex mise le basi di quella che viene oggi ricordata come una label di culto, la Inter-Modo records. Il primo numero del catalogo fu affidato ad un capolavoro ambient assoluto dal titolo “FFWD” un supergruppo formato dagli Orb al completo insieme a Robert Fripp e chi non lo conosce va in castigo dietro la lavagna per i prossimi sei mesi.
Il secondo rilascio fu invece affidato ai Juno Reactor, band da sempre nelle grazie di Paterson e che forse in quell’occasione non raccolse i consensi di tutti in quanto il loro album risultò difficilmente digeribile. Un esperimento concettuale dark ed estremo che si distanziò fin troppo dal target in qualche maniera più tradizionalista della label.
La mazzata finale arrivò con l’album targato Autocreation dal titolo Mettle. Di fatto, l’ultima release pubblicata dalla Inter-Modo.
Gli Autocreation erano formati da Mark Van Hoen (grandissimo produttore ambient molto conosciuto anche come Locust su Apollo records) insieme ai più anonimi Kevin Hector e Tara Patterson ed insieme diedero vita ad uno stranissimo disco che se in parte si avvicinava a quel concetto di psichedelia espresso nei dj set dello sciamano Paterson, dall’altra si avventurò in una sorta di minimalismo techno dal forte sapore ipnotico.
Il primo brano: Dark Smile è un’incredibile fungo ambient precedentemente rilasciato su Astralwerks in uno storico split insieme a W.F.O., un ritmo acidulo in crescendo, bolle psichedeliche che rimbalzano su una costante ritmica sotterranea e crescono di intensità con il passare dei minuti, una meraviglia di tecnica ed ispirazione.
“Snatch”, secondo brano in cartello si immedesima maggiormente in quel filone ambientale proposto da Patersor, pur continuando a proporre quella linea ipnotica e minimale che vedremo poi apparterrà all’intero album. “Sliver” è una sorta di minimalismo techno pre-Hawtin dove appaiono già chiare alcune linee guida della techno in venire, ma anche qui con l’incredibile abilità del gruppo nel preservare quella tenuta ambientale che altri con più facilità avrebbero fatto sfociare in un assalto techno.
“Tomato Dawn” esplode, senza preambolo e spiazzando di fatto tutti. E’ techno, fuori da ogni possibile fraintendimento. Ossatura scheletrica in corpo dark, poco spazio ad arie o aperture, è una partita che viene giocata sotto terra per tutta la durara.
“Justice Loop” è ancora techno in un corridoio scurissimo con il dub a fare da capolino ed il ritmo che rivela una funkytudine bianca da stato dell’arte. In “Protoski” tornano ai tappeti registrando un brano di gran classe con un ritmo downtempo essenziale ed una parata di silenziosi synth a dividersi la scena. “Exhale” è la fase di atterraggio, un morbido brano tra soffici note ed atmosfere in sospensione, la chiusura ideale che invece gli Autocreation riservano per un’ultimo, distruttivo brano: “Bone”.
Qui siamo nel centro della techno di stampo minimalista. Una variante di ritmiche sovrapposte e raddoppiate con le batterie elettroniche a spartirsi i meriti di cotanta bontà ed un flusso ambientale a correre parallelo avvolgendo tutto con un manto vellutato. Per tutti era un segnale, il segnale della strada che da lì in avanti avrebbero intrapreso. La storia ci racconta invece di due soli Ep a seguire questo album ed in entrambi i casi con una distanza marcata dalle sonorità qui espresse.
Dopo circa vent’anni il disco viene segretamente osannato dai seguaci di certa techno minimalista, venerato (giustamente oserei aggiungere) come i grandi classici del genere, o meglio come un outsider preso a cuore dal “movimento”. L’unica frustrazione è dovuta al fatto della sola stampa su cd che la Inter-Modo in quel tempo riservava e che forse ha un po circoscritto il successo che senz’altro avrebbe meritato.